LEGGE 194 A RISCHIO

LEGGE 194 A RISCHIO
19 Aprile 2021 Francesco Ciano

LEGGE 194 A RISCHIO: PETIZIONE FGCI PIEMONTE, SITUAZIONE IN ITALIA

 

Nel momento in cui scriviamo, la petizione lanciata da FGCI Piemonte su Change.org per dire NO ai movimenti Pro-vita nei consultori ha raccolto oltre 26.000 firme. La legge 194 va difesa per tutelare il diritto di scelta delle donne, per quanto il tema dell’aborto possa essere delicato e discutibile.

In Piemonte è allarme laicità nei consultori. Un esponente di Fratelli d’Italia ha emanato una circolare che non dà scampo alle donne piemontesi. Non soltanto rende impossibile la somministrazione della pillola abortiva, ma finanzia e rafforza la presenza di associazioni antiabortiste all’interno delle strutture pubbliche. La FGCI Piemonte sostiene che l’assistenza a ragazze e donne in difficoltà debba essere affidata ad associazioni laiche e imparziali.

Di recente, a Bergamo il consigliere della Lega Filippo Bianchi ha definito la Legge 194 del 1978 che tutela il diritto all’aborto “iniqua, un crimine“. Il Progetto Gemma, presente in diverse città italiane tra cui Bergamo, offre alle madri “sostegno economico per portare a termine il periodo di gestazione”. Un progetto a “tutela del diritto alla vita” che ha scatenato numerose polemiche e viene definito un pretesto per favorire ideologie contro l’aborto (come ha dichiarato la consigliera del PD Francesca Riccardi).

Il 25 marzo scorso, in conferenza stampa alla Camera dei Deputati, sono state presentate ben 4 proposte di legge per contrastare “l’inverno demografico che l’Italia sta attraversando da decenni”. Il 27 marzo si è svolto il primo Festival Nazionale della Giornata per la Vita Nascente, con circa 40 associazioni firmatarie del manifesto “Dare la vita dà vita”, in cui si legge: “È necessario attivare con urgenza misure per contrastare il preoccupante calo demografico. Ogni bambino è un dono… Ogni mamma ha diritto di essere sostenuta… Vogliamo dare il nostro contributo per alimentare una cultura per la vita…”.

L’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) è legge, ma c’è chi sta tentando di violarla o sogna di cambiarla nonostante il diritto di scelta delle donne.

 

LEGGE 194: LA ‘PAUSA’ DEI 7 GIORNI, UNA QUESTIONE MORALE

Prima della Legge 194/1978, l’interruzione volontaria di gravidanza era considerata reato dal Codice Penale italiano. Sia l’esecutore dell’aborto sia la donna venivano puniti con la reclusione da 2 a 5 anni. La legislazione proibitiva ha causato complicazioni gravi ed un gran numero di morti.

Secondo la Legge 194 l’aborto può essere richiesto entro i primi 90 giorni di gravidanza per motivi di salute, economici, familiari, sociali. La donna è invitata a soprassedere per 7 giorni dalla data di rilascio del certificato medico da presentare per l’interruzione volontaria della gravidanza. La ragione dei 7 giorni non è di ordine legale o sanitario ma esclusivamente morale.

In realtà, in Italia i tempi di attesa dalla consegna del certificato alla pratica abortiva superano i  7 giorni. Secondo il Ministero della Salute questi tempi elevati possono indicare difficoltà nell’applicazione della Legge 194.

Nel nostro Paese, esiste una notevole disparità di accesso all’interruzione volontaria di gravidanza tra una Regione e l’altra. In Valle d’Aosta la percentuale di obiettori di coscienza è del 7,7%, mentre in Molise è del 93,2% e, più in generale, al Sud (ad eccezione della Sardegna) si registra una media del 57,7%. Il risultato è prevedibile: una donna che sceglie di abortire in Val d’Aosta non trova ostacoli, in Sicilia ne trova eccome.

 

LEGGE 194 A RISCHIO: LA SITUAZIONE IN PIEMONTE

A fine settembre 2020, la Regione Piemonte ha diramato una circolare che vieta le modalità di accesso alla pillola abortiva RU486 nei consultori e, allo stesso tempo, finanzia e sostiene l’ingresso negli ospedali pubblici delle associazioni antiabortiste. L’iniziativa proviene da Maurizio Marrone, consigliere di Fratelli d’Italia, sostenuto dal presidente Alberto Cirio. La circolare prevede, ad esempio, sportelli informativi nelle strutture ospedaliere, associazioni di volontariato pronte ad aiutare la maternità difficile dopo la nascita. Tutte iniziative che partono dal Movimento per la vita.

Inizialmente, il tentativo di attaccare la Legge 194 era stata abbandonata ma, di recente, la Regione Piemonte (con una nota alle ASL) ha inserito tra i requisiti per il bando 31 marzo 2021 finalità di tutela della vita fin dal concepimento. Questo bando ha l’obiettivo di aggiornare l’elenco delle associazioni con cui collaborare.

In pratica, si richiede l’ingresso e la presenza di associazioni pro-vita nei consultori che, al momento dei colloqui per l’IVG, tentano di dissuadere le donne che hanno scelto di abortire creando sensi di colpa e sofferenza attraverso la sfiancante narrazione per cui “l’aborto è un omicidio”, un trauma, un crimine, un errore, motivo di pentimento, una scelta sbagliata.

L’aborto è una scelta difficile e molto personale: le donne hanno bisogno di essere affiancate da un supporto imparziale, che non condizioni la loro libertà di autodeterminazione. Un supporto, non condizionanti pressioni esterne. L’amministrazione regionale non può attraverso una circolare permettersi di ‘rimproverare’ una donna che abortisce né aggrapparsi a vecchi concetti paternalistici, alla figura della donna-madre incapace di avere pieno potere decisionale del proprio corpo.

La FGCI Piemonte lanciando la petizione su Chang.org chiede:

– la rimozione del divieto di aborto farmacologico (RU486) all’interno dei consultori, in disaccordo con le linee guida emanate dal Ministero della Salute e dall’AIFA:

– il divieto di accesso ai consultori per associazioni d’ogni sorta che possono interferire con le scelte personali delle donne violando, di fatto, la Legge 194 sull’IVG.

 

MANIFESTAZIONI E FLASH MOB IN PIEMONTE E NON SOLO

La Legge 194 faticosamente conquistata nel 1978 sembrava aver chiuso in modo degno il  capitolo del diritto di scelta delle donna, ma è prepotentemente riapparsa quest’anno un’ondata di moralismo patriarcale inaccettabile.

La FGCI (Federazione Giovanile Comunista Italiana) Piemonte, lanciando la petizione diretta ad Alberto Cirio (Presidente della Regione Piemonte) si dichiara preoccupata. Se il tentativo di negare alle donne la scelta di interrompere volontariamente la gravidanza troverà riscontro, si corre il rischio che altri diritti e libertà fondamentali possano essere intaccati o eliminati con facilità.

In Piemonte, si sprecano le manifestazioni contro le associazioni antiabortiste nei consultori e contro il divieto di somministrazione della pillola abortiva RU486.

Ad Asti hanno manifestato Donne CGIL e Don UIL Asti, Non una di meno, Se non ora quando.

Per il 17 aprile, sono state organizzate manifestazioni a Torino (rete “+ di 194 voci” e “Non una di meno Torino”) ed a Vercelli (#iodecido, flash mob sindacale).

La Legge 194 è a rischio non solo in Piemonte ma anche in Veneto, Marche, Umbria, Friuli e Abruzzo, dove si sta tentando un disegno politico oscurantista e repressivo. Le donne sono già pronte ad organizzare flash mob ed eventi online.

Sono già scesi in piazza l’ANPI di Senigallia a fianco del movimento Donne contro i fascismi.

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AMNESTY INTERNATIONAL CHIEDE IL RIPRISTINO IMMEDIATO DEL CONSULTORIO A MATERA

Puntuale la reazione anche a Matera da parte del Collettivo Donne e dei gruppi 301-Matera e 308-Potenza di Amnesty International. A Matera, oltre alla mancanza di risorse e fondi necessari, l’obiezione di coscienza è molto diffusa: è praticamente impossibile praticare l’aborto. In Basilicata, l’obiezione di coscienza si spinge oltre il 90%.

A Matera, le donne che scelgono legittimamente di abortire non ricevono alcun servizio dal consultorio locale e vengono ‘spedite’ a Potenza. Disagi, migrazione sanitaria in tempi di pandemia, violazione del diritto alla riservatezza e alla privacy. Ciò che si viola, innanzitutto, è l’accesso all’aborto sicuro che è una questione di diritti umani. Costringere una donna a condurre una gravidanza indesiderata o a cercare un aborto non sicuro viola i diritti umani, i diritti all’autonomia ed all’integrità corporea.

Alle donne di Matera viene negato anche il diritto all’aborto farmacologico: dal primo gennaio 2021, non è stata rinnovata la convenzione che fino al 2020 consentiva l’aborto sia chirurgico sia farmacologico.

A dispetto di pregiudizi, costrizione, coercizione, discriminazione e violenza, Amnesty International chiede alle istituzioni il ripristino immediato del servizio del consultorio a Matera a tutela dell’aborto sicuro come previsto dalla legge 194 del 22 maggio 1978.

 

LEGGE 194: IL CONSIGLIO D’EUROPA BACCHETTA L’ITALIA

Il Consiglio d’Europa ha ‘ricordato’ all’Italia di non aver ancora risolto le violazioni rilevate nel 2013 e nel 2015: ginecologi obiettori in aumento, disparità di accesso all’interruzione volontaria di gravidanza a livello regionale e locale, medici non obiettori discriminati sul lavoro, personale medico non formato, spazi non sicuri, pillola abortiva introvabile, tempi di attesa allungati all’infinito.

Non solo: gli ultimi dati sull’aborto in Italia risalgono al 2018 con un rapporto (da presentare entro il mese di febbraio dell’anno successivo a quello monitorato) presentato in Parlamento in estremo ritardo (gennaio 2020).

Il Comitato della Carta Sociale europea (organo del Consiglio d’Europa) ha sottolineato che il governo non ha fornito alcuna informazione sulla percentuale o sul numero di richieste di aborto non soddisfatte in un certo ospedale o in una determinata Regione a causa del numero insufficiente di medici non obiettori.

Ciò che rileva il Consiglio d’Europa dagli ultimi dati 2018 è che il 5% degli aborti sono stati effettuati in una Regione diversa da quella di domicilio della donna e che il numero di ginecologi obiettori di coscienza è in aumento.

La maggiore organizzazione europea che difende i diritti umani, la democrazia e lo Stato di diritto ha perciò chiesto all’Italia di fornire dati recenti su:

– numero di obiettori di coscienza;

– aborti clandestini;

– impatto sull’accesso effettivo all’aborto.

Inutile dire che la situazione nel nostro Paese è peggiorata in questo senso nell’ultimo anno sconvolto dalla pandemia.

La legge 194 non corrisponde più alla realtà: questo è dovuto anche al fatto che, in Italia, una buona pratica sanitaria fa fatica ad adeguarsi agli standard europei per questioni di stigma.

Le donne italiane che scelgono l’aborto sono ostacolate.

FRANCESCO CIANO

Francesco CIANO

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