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VIOLENZA OSTETRICA: DATI, INDAGINI, CONTRASTO NAZIONALE E INTERNAZIONALE
Il termine ‘violenza ostetrica‘ è emerso, per la prima volta, in ambito giuridico nel 2007 in Venezuela nella “Ley Orgánica sobre el Derecho de las Mujeres a una Vida Libre de Violencia”. E’ stata definita come “appropriazione del corpo e dei processi riproduttivi della donna da parte del personale sanitario, che si esprime in un trattamento disumano”.
Da allora, la violenza ostetrica è entrata gradualmente nell’agenda politica internazionale.
Ad oggi, si cercano ancora forme di tutela da questo tipo di violenza sulle donne. Fatto sta che, in Italia, tuttora non esiste una legge in materia, anzi peggio: non esiste neanche una raccolta dati ufficiale ed esauriente su questo fenomeno.
Approfondiamo.
COSA SI INTENDE PER VIOLENZA OSTETRICA
Cosa significa violenza ostetrica e ginecologica?
Rientrano nei trattamenti abusanti subiti dalle donne durante il parto procedure mediche coercitive, soprusi fisici e psicologici, abusi verbali, umiliazioni, mancanza di riservatezza o di un consenso informato, violazione della privacy. Senza contare le pratiche di pressione sul fondo dell’utero o interventi dolorosi eseguiti senza anestesia.
Violenza ostetrica significa anche subire atteggiamenti offensivi e denigratori, sentirsi rifiutare una terapia contro il dolore, trascuratezza nell’assistenza al parto con conseguenti complicazioni, sentirsi abbandonate e sole per ore nel reparto, mancanza di rispetto sia della salute sia della scelta di diventare madri o di voler interrompere la gravidanza.
Tutto questo è violenza ostetrica messa in atto non solo da ostetriche ma dai vari operatori sanitari. Interessa situazioni di routine (non di emergenza) caratterizzate dall‘imposizione di cure o pratiche senza il consenso delle donne, senza informarle e, a volte, contro la loro stessa volontà. E’ una forma di violenza invisibile, difficile da riconoscere e individuare.
Secondo la vecchia cultura, per la donna “è sufficiente sopravvivere al parto“. E il rispetto? I diritti umani?
Sono tante, troppe le testimonianze di donne che subiscono violenza ostetrica.
LA DENUNCIA DELL’OMS
Nel 2014, l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha denunciato il fenomeno nel documento “La prevenzione ed eliminazione dell’abuso e della mancanza di rispetto durante l’assistenza al parto presso le strutture ospedaliere”.
Nel documento si legge che in tutto il mondo molte donne durante il parto in ospedale “fanno esperienza di trattamenti irrispettosi e abusanti“.
Tali trattamenti, spiega l’OMS, “non solo violano il diritto delle donne ad un’assistenza sanitaria rispettosa ma possono minacciare il loro diritto alla vita, alla salute, all’integrità fisica e alla libertà da ogni forma di discriminazione“.
Un numero crescente di studi sulle esperienze delle donne durante il parto fornisce un quadro allarmante.
Oltre alla mancanza del consenso informato, c’è il problema dell’uso eccessivo di procedure obsolete, fortemente sconsigliate dall’OMS.
Si tratta di “atteggiamenti profondamente rappresentativi delle disuguaglianze di genere“, una forma invisibile di violenza contro le donne all’interno dei sistemi sanitari.
RAPPORTO ANNUALE 2019 DELLE NAZIONI UNITE: RICONOSCIMENTO DELLA VIOLENZA OSTETRICA
Con la presentazione del Rapporto annuale all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, a novembre 2019 la violenza ostetrica è stata ufficialmente riconosciuta come violazione dei diritti umani, vera e propria violenza di genere.
Per l’ONU è, a tutti gli effetti, maltrattamento e violenza di genere nei servizi di salute riproduttiva (esami ginecologici, interruzione di gravidanza, trattamenti per la fertilità e contraccezione) e durante il parto.
Succede in tutto il mondo, nei Paesi più ricchi ed in quelli in via di sviluppo, indipendentemente dal livello socioeconomico. L’unica cosa che accomuna ogni donna che subisce la violenza ostetrica in ogni angolo del mondo è il fatto stesso di essere donna.
CASI SINGOLI O FENOMENO DIFFUSO NEI SISTEMI SANITARI?
Non esiste una legge che tuteli le donne dalla violenza ostetrica. Anche per questo motivo, le vittime spesso restano nel silenzio, cadono in un profondo stato di confusione mentale e impotenza, si vergognano o hanno paura di parlare a causa dei tabù, dello stigma o della convinzione che il loro sia un caso isolato.
Purtroppo, non si tratta di casi isolati ma di violenza largamente diffusa e radicata nei sistemi sanitari come hanno dimostrato numerose testimonianze fornite da ONG, Stati, istituzioni indipendenti e raccolte dall’ONU.
Il tutto è alimentato dal solito contesto di discriminazione, istruzione e formazione inadeguate, mancanza di rispetto per l’uguaglianza e i diritti delle donne. In una frase, ‘stereotipi di genere’ aggravati dalle assurde credenze socio-culturali secondo cui la donna durante il parto debba fare i conti con la sofferenza.
Di certo, il parto ha il suo lato traumatico ma questo non significa mettere in secondo piano la salute psicofisica delle donne e negare loro i diritti fondamentali come, ad esempio, il consenso informato.
IL CONSENSO INFORMATO
Teoricamente, come pazienti, le donne avrebbero il diritto di ricevere informazioni complete sui trattamenti proposti per esserne consapevoli e fare una scelta autonoma.
In realtà, i dati di oltre quaranta ONG (organizzazioni non governative) nel mondo riportano una realtà diversa: uso scorretto o totale assenza di consenso informato.
Il consenso informato è riconosciuto come diritto umano fondamentale, ma spesso è ridotto a formalità burocratica, uno sgravio di responsabilità da parte degli operatori sanitari.
I moduli onnicomprensivi non sono sufficienti a dare un’informazione adeguata, completa e chiara. E’ necessaria la comunicazione ed interazione tra operatori e pazienti.
L’ONG francese Make Mothers Matter, nel denunciare la mancanza di consenso informato, ha sottolineato l’utilizzo dei moduli in bianco che le donne devono firmare permettendo così allo staff medico di fare ciò che ritiene necessario senza chiedere ulteriori consensi.
Prendiamo l’esempio dell’episiotomia, un intervento che consiste nell’incisione del perineo per allargare l’apertura vaginale in caso di parto naturale. Questa pratica (che risale agli anni Sessanta), catalogata come tortura e integrazione alla violenza di genere, va eseguita soltanto in casi specifici per evitare complicazioni altrimenti può causare effetti psicofisici negativi alla partoriente. L’episiotomia rappresenta, invece, un intervento di routine, il più delle volte non necessario. Oggi, se da una parte questa pratica è stata ridotta o rivista, in certe realtà viene tuttora eseguita indiscriminatamente e senza il consenso informato, contro le raccomandazioni dell’OMS.
Secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità, in Italia l’episiotomia viene praticata nel 60% dei parti naturali (le medie al sud arrivano anche al 70%). Il 61% delle donne che ha subito questa pratica dichiara di non aver ricevuto informazioni adeguate: non è stato loro richiesto il consenso.
OVOITALIA: IL RAPPORTO DIFFUSO A NOVEMBRE 2019 E LA RICERCA DOXA
A novembre 2019, l’Osservatorio sulla Violenza Ostetrica in Italia (OVOItalia) ha presentato un rapporto. Ricordiamo che OVOItalia, nato dalla campagna social del 2016 #bastatacere, ha contribuito notevolmente a far emergere il fenomeno della violenza ostetrica in Italia.
La prima ricerca nazionale del 2017 condotta dall’istituto specializzato in ricerche di mercato e analisi statistiche Doxa per conto di OVOItalia, ha stimato che, negli ultimi 14 anni, circa un milione di donne (21% del totale) ha subito violenza ostetrica durante il parto o il travaglio. Tra le varie testimonianze, c’è chi ha rischiato la vita a causa di manovre mediche invasive e ripetute e chi si è dovuta sottoporre ad interventi per ripristinare zone gravemente danneggiate.
Dal canto suo, l’Associazione Ostetrici Ginecologi Ospedalieri Italiani (AOGOI) ha preso le distanze definendo questa indagine una “falsa ricostruzione della sanità italiana”.
L’indagine va comunque avanti allo scopo di promuovere maggiori forme di tutela e assistenza.
Di certo, la lacuna non è soltanto normativa. C’è bisogno di un cambiamento culturale della mentalità di medici e pazienti.
I due ostacoli da superare sono la difficoltà da parte delle donne di percepire gli abusi ed il fatto che alcune pratiche mediche sono legittimate collettivamente.
RISOLUZIONE 2306/2019 DEL CONSIGLIO D’EUROPA
Il 3 ottobre 2019 il Consiglio d’Europa ha adottato la Risoluzione 2306/2019, la prima risoluzione per il contrasto alla violenza ostetrica e ginecologica.
Ha invitato gli Stati membri ad assicurarsi che l’assistenza alla nascita venga fornita nel rispetto dei diritti e della dignità umana, qualificando la violenza ostetrica nel quadro normativo della Convenzione di Istanbul (di cui è firmataria anche l’Italia).
Ha invitato gli Stati membri a disporre di meccanismi atti a garantire il diritto di effettuare denunce e provvedere all’assistenza alle donne vittime.
Nel 2016, in Italia, la proposta di legge del deputato Adriano Zaccagnini (Liberi e Uguali) per introdurre il reato di violenza ostetrica non è mai arrivata in Senato. Chissà se verrà mai presentata di nuovo.
La risoluzione del Consiglio D’Europa chiarisce, senza ombra di dubbio, l’obbligo giuridico di tutti gli Stati membri (Italia inclusa) di garantire la protezione delle donne partorienti da qualsiasi forma di maltrattamento fisico o verbale durante l’assistenza al parto.
A livello legale, la risoluzione invita gli Stati membri ad istituire sanzioni contro gli operatori valorizzando la figura del difensore civico e provvedendo all’assistenza idonea alle donne vittime di violenza ostetrica e ginecologica.
Attualmente, per tutelarsi dalla violenza ostetrica e ginecologica, l’unico strumento a disposizione delle donne è il “Piano del parto”.
Si tratta di un documento da proporre alla struttura sanitaria per accordarsi sulle richieste che riguardano il momento del parto e del travaglio.