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CENTRI ANTIVIOLENZA: RISOLUZIONE SENATO, PIÙ RISORSE E NUOVA GOVERNANCE
Dopo un anno di indagine svolta sui centri antiviolenza e sulle case rifugio, la risoluzione proposta dalla Commissione di inchiesta sul femminicidio è stata approvata all’unanimità l’8 settembre dal Senato.
La risoluzione chiede più risorse ed una nuova governance per i cav.
Sono principalmente due le criticità evidenziate dalla presidente della Commissione Valeria Valente.
La prima è la carenza delle risorse destinate ai Cav ed alle case rifugio. Secondo un rapporto della Corte dei Conti del 2016, l’importo medio annuale dei finanziamenti pubblici a disposizione era di circa 6mila euro.
La seconda criticità consiste nel fatto che, spesso, “queste risorse non riescono ad essere certe”. Tuttora, si rischia di riceverle “due anni dopo il loro stanziamento“.
Valente non considera “un bene” che le operatrici siano in gran parte volontarie e che i fondi vengano stanziati anno per anno. Sono necessarie “programmazioni almeno triennali” per garantire una maggiore stabilità ai progetti di uscita dalla violenza realizzati dai cav.
La relazione ha riconosciuto i centri antiviolenza come “l’anello più prezioso dell’intera catena, senza il quale il sistema non potrebbe reggere”. Strutture dove le donne vengono ascoltate, credute, dove esiste specializzazione e professionalità.
CENTRI ANTIVIOLENZA: RISOLUZIONE APPROVATA IN SENATO, COSA CHIEDE LA COMMISSIONE D’INCHIESTA
Il titolo del nostro approfondimento parla chiaro: più risorse e nuova governance per i centri antiviolenza. Quali sono gli impegni chiesti al Governo e contenuti nella risoluzione appena approvata in Senato?
In particolare, chiede di:
– aumentare le risorse per l’intero sistema di prevenzione e contrasto alla violenza contro le donne;
– semplificare e velocizzare il percorso dei finanziamenti rendendolo a cadenza triennale;
– verificarne l’effettiva erogazione ai centri antiviolenza ed alle case rifugio tramite un sistema di monitoraggio più efficace che premi esperienza e specializzazione;
– potenziare la governance centrale del sistema ed uniformare i livelli di governance delle Regioni;
– promuovere un’analisi territoriale coinvolgendo gli enti gestori dei centri in tutti i livelli decisionali.
OBIETTIVI E STRUMENTI SUGGERITI NELLA RISOLUZIONE
L’intero sistema – centrale per la prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne – deve essere rafforzato e favorito. Oltre ad aumentare le risorse per i centri antiviolenza, è necessario ed urgente adottare criteri più stringenti per l’erogazione delle risorse evitando appalti basati sull’offerta economicamente più vantaggiosa.
Bisogna sostenere gli enti privati che necessitano di finanziamenti pluriennali per avere modo di ottimizzare la programmazione delle loro attività.
Per gettare le basi dell’intervento di riforma, sono necessari due strumenti:
– la revisione dell’intesa Stato-Regioni del 2014 relativa “ai requisiti minimi dei centri antiviolenza e delle case rifugio”. L’obiettivo (irrimandabile) è l’elaborazione di una riforma organica della normativa;
– l’istituzione di un Osservatorio Nazionale permanente con compiti di valutazione indipendente dell’intero sistema, di monitoraggio e controllo degli standard di qualità dei servizi antiviolenza.
I RISULTATI DELL’INDAGINE SUI CENTRI ANTIVIOLENZA E CASE RIFUGIO DURATA UN ANNO
La risoluzione nasce da un’indagine svolta dalla Commissione d’inchiesta sul femminicidio sui centri antiviolenza e sulle case rifugio. Tale indagine ricostruisce in 34 pagine il sistema istituzionale antiviolenza italiano, la storia e il ruolo fondamentale delle associazioni di donne, il sistema di finanziamento dei centri antiviolenza e delle case rifugio.
L’indagine è durata circa un anno: si è avvalsa dei dati Istat e Cnr e di specifiche audizioni.
Nel corso dell’indagine, è stata rilevata l’assoluta centralità dei centri antiviolenza e delle case rifugio nella protezione delle donne vittime di abusi e nella prevenzione del femminicidio.
La grande maggioranza dei 283 centri antiviolenza è gestita in Italia da privati senza fini di lucro.
I centri antiviolenza a gestione pubblica sono 51 (il 15,2% del totale), di cui oltre la metà sono localizzati nelle regioni settentrionali.
Complessivamente, nei centri antiviolenza sono state assistite 49.021 donne (una media di 156 per ogni centro). Le 264 case rifugio hanno preso in carico 4.483 persone tra donne e minori.
Rispetto al passato, il Sud ha colmato il gap: dopo il 2014, sono nati il 32,5% dei centri nel Mezzogiorno grazie alla maggiore consapevolezza, all’impegno delle associazioni e ad un’azione strategica per accedere ai finanziamenti pubblici.
I centri esistenti nel 2017 erano 366: il 38,4% (137) presente al Nord, il 14,9% (61) al Centro e il 46,6% (168) al Sud. I centri in Campania (69) e Lombardia (47) rappresentano circa un terzo di quelli attivi in tutta Italia.
Al Nord ed al Centro, è presente 1,1 struttura ogni 100 mila donne di età superiore ai 14 anni , mentre al Sud il rapporto è di 1,8.
Nel Sud, tra le regioni eccellenti, emergono Campania, Abruzzo e Molise.
BONETTI: CONFERENZA STRAORDINARIA PER UN NUOVO SISTEMA ANTI-VIOLENZA
La ministra per le Pari Opportunità e la Famiglia Elena Bonetti ha dato il parere favorevole del Governo alla risoluzione sulla ‘Relazione sulla governance dei servizi antiviolenza e sul finanziamento dei centri antiviolenza e delle case rifugio’. Non solo: intende convocare una Conferenza straordinaria coinvolgendo tutti i soggetti protagonisti della lotta contro la violenza sulle donne (centri antiviolenza, Regioni, Commissione femminicidio, enti locali, Forze dell’Ordine, ecc.).
La conferenza straordinaria è finalizzata a verificare il Piano strategico nazionale di contrasto alla violenza sulle donne ed a riprogettare un nuovo sistema anti-violenza.
Nel riparto 2020 delle Regioni, c’è necessità di un bando di fondi destinati ad azioni di rafforzamento del sistema.
Le donne, oltretutto, vanno rese autonome anche a livello finanziario. “Restituire la libertà significa anche questo”.
INDAGINI SUL FEMMINICIDIO AVVIATE DALLA COMMISSIONE D’INCHIESTA
Il 4 agosto, la Commissione di inchiesta del Senato sul femminicidio e la violenza di genere ha deliberato all’unanimità l’avvio di un’indagine conoscitiva sui femminicidi avvenuti nel biennio 2017-2018 (stimati in 227 casi in base ai dati registrati dalle istituzioni e dalle associazioni).
C’è un problema di fondo: i dati sul femminicidio variano molto rispetto alla fonte di riferimento.
L’obiettivo di questa indagine è rilevare le cause che hanno portato ai femminicidi attribuibili al malfunzionamento del sistema di protezione della donna (sociale, giudiziario, delle Reti sul territorio).
Il rilevamento delle cause sarà possibile grazie all’analisi degli atti delle indagini preliminari di primo e secondo grado di giudizio anche attraverso l’intervento di esperti (avvocati, magistrati) che collaborano con la Commissione d’inchiesta.
L’indagine non mira alla ricerca di responsabilità individuali: intende scoprire le disfunzioni del sistema da correggere assolutamente tramite la sensibilizzazione e formazione degli operatori.
Per la prima volta – spiega la presidente Valeria Valente – in Italia “si indaga per capire cosa davvero non funziona nella catena che troppo spesso non riesce ad evitare tanti femminicidi anche dopo la denuncia“.
I risultati, che si spera possano essere presentati il prossimo 25 novembre in occasione della Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne, puntano ad evitare il più possibile i femminicidi.