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Comitato Madri Unite contro la Violenza Istituzionale: la denuncia
Il Comitato Madri Unite contro la Violenza Istituzionale, costituito a settembre 2019, ha portato all’attenzione della Commissione Parlamentare d’Inchiesta sul Femminicidio tanti casi gravi. Casi (di cui ha fornito documenti e relazioni tecniche) che hanno un unico denominatore: dopo aver denunciato le violenze, le donne/madri vittime rischiano di perdere i figli.
Il fenomeno è talmente grave che la Commissione Parlamentare, facendo esaminare i vari casi dai giuristi, ha presentato una proposta per l’emendamento dell’art. 83 del DL Cura Italia allo scopo di proteggere le vittime di violenza domestica e garantire la relazione con i loro figli. Chiede una protezione delle vittime dall’eventualità di incontrare gli ex violenti da cui si sono separate o si stanno separando nell’ambito degli incontri protetti previsti.
Cosa sta succedendo?
Il fenomeno denunciato dal Comitato Madri Unite contro la Violenza Istituzionale
Il Comitato Madri Unite contro la Violenza Istituzionale, un movimento trasversale, nazionale e bipartisan, fa luce su un fatto gravissimo.
Gran parte delle denunce per violenza delle vittime/madri vengono o archiviate (in quanto considerate strumentali) o ritirate sotto la pressione di giudici, consulenti tecnici d’ufficio, istituzioni, avvocati.
Le mamme/donne vittime di violenza domestica, di fatto, sono minacciate, schiacciate dalla possibilità di vedersi portar via i figli in sede di procedimento civile se non si mostrano ‘collaborative’ con l’ex marito o compagno violento, anche se già condannato (perfino al terzo grado di giudizio).
Oltretutto, spesso, è il padre violento a richiedere il collocamento dei figli in una casa famiglia: è un gesto finalizzato a punire la sua ex partner.
Anche in sede penale, compagni e mariti violenti possono continuare a far valere, con prepotenza, il proprio diritto alla genitorialità. La legge lo permette. I maltrattanti, gli autori di violenza di genere si appellano alla legge 54/2006 che prevede l’obbligo dell’affido condiviso.
Questa legge ritiene la bigenitorialità il supremo interesse del minore da preservare a tutti costi, anche a rischio della salute e dell’incolumità psicofisica dei bambini e, spesso, contro la loro volontà.
Succede più di quanto s’immagini che i minori vengano inseriti in case famiglia per tagliare il legame con la madre, prima di essere consegnati al padre.
Succede che le madri che riescono ad avere ancora in custodia i propri figli vivano per anni in una sorta di libertà vigilata, controllate, private della loro libertà, soprattutto quando i loro bimbi sono affidati ai servizi sociali o a tutori. Le vittime, già provate dalla violenza, vivono nel costante timore che il Tribunale possa emettere un decreto di allontanamento dei figli.
Tutto questo per aver denunciato un marito o partner violento, quando per le donne arriva il momento di dimostrare la violenza domestica in sede giudiziaria, soprattutto in fase di separazione.
Entriamo nel sito ufficiale del Comitato Madri Unite
Entriamo nel sito ufficiale del Comitato Madri Unite contro la Violenza Istituzionale e leggiamo frasi scritte a caratteri cubitali:
“TANTISSIME DONNE ITALIANE SONO VITTIME DI VIOLENZA ISTITUZIONALE”
“NOI MADRI SIAMO SOTTO FEROCE ATTACCO DEI TRIBUNALI”
“DOPO AVER DENUNCIATO LE VIOLENZE, LE DONNE SI RITROVANO COL RISCHIO DI PERDERE I FIGLI”
“I BAMBINI CHE RIFIUTANO IL PADRE VIOLENTO VENGONO TORTURATI DALLE ISTITUZIONI”
“STRAPPATI ALLE MADRI E COLLOCATI PRESSO IL PADRE DI CUI HANNO PAURA OPPURE IN CASA FAMIGLIA”
“LE ISTITUZIONI NE CHIEDONO IL ‘RESETTO'”
“UN RAPPORTO GENITORIALE NON SI PUO’ COSTRUIRE CON LA FORZA”
“L’ALIENAZIONE PARENTALE ED OGNI SUA DECLINAZIONE VA ELIMINATA DAI TRIBUNALI”
“I BAMBINI DEVONO ESSERE ASCOLTATI”
“LA LEGGE 54 DEL 2006 CONSEGNA I BAMBINI AL GENITORE VIOLENTO STALKER ABUSANTE INADEGUATO”.
Ognuna di queste frasi denuncia numerosi casi allarmanti che ha spinto il Comitato Madri Unite a lanciare l’SOS mamme vittime di mariti violenti puntando il dito sulle istituzioni.
E’ un dramma nel dramma, una violenza nella violenza che non può restare sepolta nel silenzio.
Da vittime di violenza a madri conflittuali, malevole, alienanti
Il Comitato Madri Unite è composto da madri vittime di violenza istituzionale.
A seguito di procedimenti giudiziari (in ambito civile, penale o minorile) queste madri sono state private dei figli oppure minacciate di perderli per essere affidati a padri violenti o a case famiglia.
Dopo aver denunciato la violenza subita, sono state chiamate “madre malevola”, “madre ostativa o non collaborante”, “madre simbiotica”, “madre conflittuale”.
Peggio ancora, i Servizi Sociali hanno operato attraverso false relazioni o atti omissivi.
Il Comitato Madri Unite ci tiene a sottolineare che non è un’associazione di mutuo soccorso: fornire pareri legali o consulenza non rientra nelle sue funzioni.
Il suo obiettivo è agire a livello mediatico e istituzionale per far capire il reale stato dei fatti nei Tribunali italiani.
Gli obiettivi del Comitato Madri Unite contro la Violenza Istituzionale
Il Comitato, nel denunciare fatti molto gravi e nel voler tutelare gli interessi delle madri e dei figli, denuncia quanto segue:
1) L’applicazione della legge 54/2006 (che prevede l’obbligo dell’affido condiviso) si traduce in un sistema feroce, in una rivittimizzazione e violenza istituzionale su donne e bambini. La bigenitorialità obbligatoria a cui fa riferimento questa legge ed il suo strumento applicativo (Pas o alienazione parentale) rappresentano una vera macchina da guerra in nome del principio patriarcale della Patria Potestà. Questa legge, di fatto, nega la centralità del legame materno nonché la salvaguardia del “primario interesse del minore”. Il bambino ha bisogno di rispetto, cura, autonomia emotiva e di giudizio, non va considerato un oggetto di spartizione tra adulti;
2) La credibilità di donne e bambini vittime di violenza è considerata nulla, le misure di tutela nei loro confronti sono inefficaci e spesso anche ingiuste. Padri o partner violenti, inadeguati e rifiutati dai figli sono ritenuti ‘comunque padri‘: a loro viene concesso perfino l’affidamento esclusivo dei figli e viene imposto il rapporto con loro a madri e bambini;
3) La violenza compiuta da padri e partner non viene, di fatto, riconosciuta. La violenza domestica viene definita ‘conflittualità di coppia‘ da giudici, operatori sociali e istituzioni il cui scopo è il ripristino obbligatorio della relazione tra padri e figli che li rifiutano, spesso a ragione;
4) I bambini sono costretti a percorsi psicoterapeutici/psichiatrici contro la loro volontà e senza alcuna necessità;
5) La bigenitorialità obbligatoria viene applicata tramite ricorso alle CTU (Consulenze Tecniche d’Ufficio) ad opera di psicologi giuridici e neuropsichiatri che minacciano madri e figli di allontanamento e perdita della responsabilità genitoriale. E’ la ‘terapia della minaccia‘, utile ai sostenitori dell’alienazione parentale (inesistente, ascientifica). Le discutibili perizie dei consulenti tecnici, che analizzano solo la madre e la famiglia materna (mai il padre e la sua famiglia) sono considerate sempre valide e affidabili dai Giudici. Queste perizie si trasformano automaticamente in provvedimenti e decreti dei tribunali che restano provvisori per anni, quindi inappellabili. La madre viene dichiarata inadatta o malevola, viene rivittimizzata e giudicata pericolosa per la crescita dei figli. Figli la cui vita viene completamente stravolta. Queste perizie consentono di punire e allontanare forzosamente la madre dai suoi figli;
6) Il calvario giudiziario può durare anni. In questi anni, la madre cercherà di difendersi invano dalle accuse mosse dagli operatori. Più la madre cercherà di difendere se stessa e i suoi figli, più verrà considerata conflittuale e alienante dalle istituzioni;
7) La mancata applicazione della Convenzione di Istanbul (legge 77/2013).
La tragica vicenda del piccolo Federico Barakat
Oggi, con grande coraggio, molte madri stanno iniziando a denunciare questi professionisti nelle procure o presso gli ordini professionali a causa dei gravi vizi, incongruità e falsità contenuti nelle loro perizie. Denunciano anche pubblicamente la violenza istituzionale.
Tra queste donne e madri, citiamo Laura Massaro di Ostia (Roma) che ha fondato il Comitato, Ginevra Amerighi di Roma e Imma Cusmai di Milano (attivista per i diritti umani e Presidente del Comitato “Femminicidio in Vita – contributo / contributo / video ) che, nel corso di separazioni giudiziali, si sono viste privare della potestà genitoriale perché accusate di “alienazione parentale” (supposti comportamenti manipolatori verso i figli finalizzati a mettere in cattiva luce la figura paterna).
Le perizie che spesso le accusano portano sul banco dei Tribunali come unica prova la difficoltà di relazione fra i bambini e i loro padri. Padri, in diversi casi, già denunciati per atti di violenza domestica contro le partner o contro i bambini stessi.
In attesa che venga accolta la proposta da parte della Commissione Parlamentare d’Inchiesta sul Femminicidio di modificare l’art. 83 del DL Cura Italia (in riferimento alla violenza istituzionale), ricordiamo una tragica vicenda che, da sola, commenta tutto ciò che abbiamo spiegato finora.
Dieci anni fa, il piccolo Federico Barakat venne assassinato dal padre che gli sparò e poi lo uccise a coltellate durante un incontro protetto. Il piccolo Federico fu obbligato ad andare a quell’incontro nonostante le denunce della madre e nonostante il rifiuto di vedere il padre da parte del bambino.
La madre di Federico, Antonella Penati, era stata accusata di alienazione genitoriale da periti e assistenti. Dopo la morte di suo figlio, Antonella ha fondato l’associazione “Federico nel cuore Onlus” che offre sostegno e solidarietà a madri e figli vittime di violenza domestica.
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[…] bambini tolti alla loro madre in una causa per violenza domestica e di genere vanno tutelati innanzitutto nel diritto alla vita. […]
[…] bambini tolti alla loro madre in una causa per violenza domestica e di genere vanno tutelati innanzitutto nel diritto alla vita. […]