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DIPENDENZA AFFETTIVA PATOLOGICA E VIOLENZA DI GENERE: COME DIRE NO ALL’AMORE TOSSICO
Le dichiarazioni e le interviste rilasciate dalla dottoressa Erica Pugliese rendono molto bene l’idea della dipendenza affettiva patologica come relazione malata vissuta da un consistente numero di donne vittime di violenza di genere. Erica Pugliese è dottore di ricerca in Psicologia Sociale, Psicologa, Psicoterapeuta e professore straordinario presso l’Università degli studi di Roma Guglielmo Marconi, presidente dell’Associazione Millemé – Violenza di Genere e Dipendenze Affettive. Conosce molto bene questa realtà. Da anni lavora a stretto contatto con donne consapevoli di vivere una relazione malata con il loro aguzzino: ammettono di non essere in grado di rinunciare a quel legame.
Perché le donne vittime di violenza di genere non trovano la forza di andare via, di rinunciare ed allontanarsi dalla relazione malata di cui, spesso, sono coscienti? Paura di restare sole? Anche se quel legame malato può rischiare di compromettere la loro salute psicofisica?
Questa drammatica condizione si chiama dipendenza affettiva patologica, spesso legata a doppio filo con la violenza di genere. Si continua a vivere il rapporto tossico per incapacità di rompere le catene rischiando violenza fisica, psicologica fino all’atto estremo del femminicidio.
La consapevolezza di vivere una relazione malata c’è. Lo dimostra l’impennata di chiamate al 1522 nel 2020 salite del 79,5% rispetto all’anno precedente. Le richieste di aiuto crescono ma la cronaca ci riporta un numero ancora troppo elevato di donne uccise in quanto donne.
DIPENDENZA AFFETTIVA PATOLOGICA E CODIPENDENZA
La dipendenza affettiva (Love Addiction) è una dipendenza comportamentale (distinta dalla dipendenza fisica) che mette in atto ed asseconda comportamenti manipolativi e coercitivi del partner. In una relazione normale non esiste un’indipendenza assoluta: la sana dipendenza affettiva diventa patologica quando subentrano sentimenti di paura, sottomissione, abuso, manipolazione.
La caratteristica principale di questa dipendenza è il conflitto interiore, un conflitto nevrotico: chi ne soffre oscilla costantemente tra la volontà di interrompere una relazione e la paura di soffrire troppo perdendo il partner. Necessità del partner e volontà di abbandonarlo, un circolo vizioso che non porta a nulla di buono. Nonostante la consapevolezza di vivere una relazione tossica, non è in grado di separarsi dall’altro.
E’ come una droga: quando tenta di separarsi soffre di astinenza, prova talmente tanta angoscia e dolore che non potrà fare a meno di tentare di ricucire un legame che non riesce a spezzare. E, così, torna a sottomettersi al partner.
Attenzione, però: anche la parte ‘cattiva’ della dipendenza affettiva (il narcisista, il manipolatore) è dipendente: nel suo caso, si parla di codipendenza. Se la vittima dipendente minaccia l’abbandono, il codipendente sarà sempre pronto a cercarla.
La dipendenza affettiva patologica è una patologia del sentimento e del comportamento amoroso, una miscela di amore-odio di cui la vittima è prigioniera e per la quale si annienta.
Anche a causa di una società sempre più ‘narcisistica’, crescono progressivamente i casi di amore tossico in cui la vittima arriva a venerare il partner e ad annullarsi per lui.
Il narcisista in questione non è l’unica parte ‘cattiva’ della relazione tossica: lo è la stessa vittima che, anziché rapportarsi con l’altro vedendolo per ciò che è, lo ignora o lo idealizza per entrare in relazione solo con se stessa, con i suoi problemi e le sue fragilità interiori.
DIPENDENZA AFFETTIVA PATOLOGICA E VIOLENZA DI GENERE: L’IMPORTANZA DI UN INTERVENTO TERAPEUTICO
Nonostante i rischi e le conseguenze drammatiche, la dipendenza affettiva patologica non viene adeguatamente trattata a livello clinico. Non esiste un protocollo di intervento di psicoterapia efficace ed ufficiale.
La donna invischiata nella ragnatela della dipendenza affettiva continua a vivere la relazione tossica anche quando diventa consapevole di quanto sia patologica, di quanto provochi sofferenza e conseguenze psicofisiche. Lo sa ma non riesce a rompere il legame che inquina la sua vita.
Può capitare ad una donna o ad un uomo, questa patologia non ha limiti di genere, età, status sociale, culturale ed economico, orientamento sessuale. Coinvolge tutti e non è facile da sradicare. E’ un problema antico come il mondo, nulla di nuovo ma tuttora poco analizzato.
La realtà, a differenza delle fiabe, non cambia e non guarisce il principe ‘nero’.
La dipendenza affettiva patologica non c’entra con amore o ‘troppo amore’: è un disturbo mentale, una condizione di profonda e pervasiva sofferenza che nasce dalla e nella relazione malata. Chi ne soffre vive un conflitto interno tra voler abbandonare il rapporto e, allo stesso tempo, volerlo salvare. Il desiderio di ‘salvare’ è inutile e pericoloso: il partner tossico non cambierà per niente e nessuno al mondo e non ascolterà.
RICONOSCERE LA RELAZIONE TOSSICA PER INTERVENIRE
La dottoressa Erica Pugliese spiega che questa patologia è motivo di grande confusione fra gli psicoterapeuti: chi la considera un problema sociale, chi una tematica frivola, non degna di approfondimento ed intervento terapeutico.
Oggi, la situazione sta fortunatamente cambiando. Il primo intervento in favore della vittima di violenza di genere punta alla messa in sicurezza, al riconoscimento dei segnali tipici della relazione tossica, alla raccolta di prove.
Le vittime di violenza possono essere coscienti di vivere una relazione tossica ma, purtroppo, spesso non riconoscono di correre seri rischi, di essere in pericolo. Bisogna saper individuare i segnali della dipendenza affettiva patologica.
Chi è vittima di violenza deve chiedere aiuto, rivolgersi alle Forze dell’Ordine, centri antiviolenza, ospedali, gruppi di aiuto-aiuto, avvocati, psicoterapeuti per uscire dalla ragnatela del rapporto tossico e riprendere in mano la propria vita.
COME RICONOSCERE LA DIPENDENZA AFFETTIVA PATOLOGICA SECONDO MICHEL REYNAUD
Ad oggi, è difficile distinguere l’amore romantico dalle manifestazioni patologiche. Una definizione precisa di amore romantico non esiste e sarebbe bene non perdere tempo a definirlo o analizzarlo. Guardiamo in faccia la realtà e dimentichiamo le fiabe.
Nella vita di tutti i giorni, non è poi così difficile saper distinguere tra un rapporto affettivo sano e una dipendenza affettiva ossessiva, malata, diversa dalla dipendenza sessuale.
Lo psichiatra francese Michel Reynaud ha affermato che il passaggio da una sana passione amorosa alla dipendenza affettiva si verifica quando:
– il desiderio diventa bisogno;
– la sofferenza si sostituisce al piacere;
– il rapporto tossico continua anche quando la ragione ci suggerisce di rompere il legame a causa di rischi, pericoli, conseguenze negative.
Reynaud associa la dipendenza affettiva patologica alla dipendenza da sostanza (droga, alcol) per sintomi simili: incapacità di interrompere la relazione nonostante i problemi che causa, una vera e propria crisi di astinenza con irritabilità e sofferenza, una significativa riduzione o abbandono di attività sociali e ludiche, isolamento.
Per ‘diagnosticare’ la dipendenza affettiva, Reynaud ha suggerito i seguenti criteri (che persistono per almeno 12 mesi)i:
– presenza di sindrome di astinenza caratterizzata da sofferenza e bisogno compulsivo del partner assente;
– importante riduzione delle attività sociali, di piacere, professionali;
– importante assorbimento di tempo dedicato al rapporto;
– sforzi inutili per controllare o ridurre la relazione;
– proseguimento del rapporto nonostante le conseguenze ed i problemi che causa;
– presenza di un problema personale dell’attaccamento con ripetizione di relazioni amorose esaltate o dolorose.
I SINTOMI DELLA RELAZIONE TOSSICA
Distinguere la dipendenza affettiva sana da quella patologica è possibile osservando il comportamento di chi ne soffre.
I sintomi del dipendente affettivo patologico sono:
– Intensità delle emozioni: la forza con cui si presentano i sentimenti indica una relazione tossica. E’ importante osservare il fattore controllo delle emozioni: si passa da una condizione di eccitazione ad un senso di sopraffazione e soffocamento;
– Presenza di una sindrome da astinenza del partner con conseguente sofferenza e bisogno compulsivo della sua presenza;
– Quantità considerevole di tempo speso per la relazione sia in presenza sia a livello di pensiero;
– Isolamento: il maltrattante inizia a denigrare gli amici del partner, lo allontana dai suoi affetti, lo isola e lo fa sentire sempre più solo. Questa condizione può portare a compromettere il lavoro, lo studio, la famiglia, gli amici;
– Riduzione di tutte le attività sociali, professionali e di svago;
– Umiliazione e colpevolizzazione della parte fragile con tendenza a denigrarla;
– Gelosia cieca che si trasforma in controllo ossessivo e patologico, pericoloso;
– Instabilità, una sensazione che si può paragonare a quella provata sulle montagne russe. Inizialmente, può far provare una piacevole ebbrezza, poi si trasforma in un incubo, una condizione di sofferenza distruttiva.;
– Desiderio persistente (seppure inutile) di ridurre o controllare la relazione tossica;
– Ricerca della relazione a tutti i costi nonostante i problemi che crea;
– Insicurezza e paura di perdere la persona amata al punto tale da avere comportamenti compiacenti e sacrificali per non essere abbandonati, rifiutati;
– Stress, ansia, pensiero ossessivo nei confronti del partner;
– Depressione, comportamenti impulsivi e compulsivi che possono sfociare, nei casi più gravi, nella minaccia o messa in atto di azioni autolesionistiche, tentativi di suicidio.
SINTOMI CAUSATI DALL’ASTINENZA PER MANCANZA DEL PARTNER
I sintomi causati dall’astinenza per la mancanza del partner possono essere:
– angoscia;
– attacchi di ansia;
– difficoltà di concentrazione, di ascolto, disinteresse per le attività quotidiane;
– pensieri ossessivi verso il partner;
– paura;
– insonnia, incubi;
– ipervigilanza;
– rabbia alternata a tristezza;
– senso di disperazione e solitudine;
– disturbi alimentari;
– senso di blocco;
– pianto o blocco del pianto;
– instabilità o scoppi di collera, esagerate risposte di allarme;
– dolore acuto, malessere o disturbi fisici dovuti alla somatizzazione del trauma.
DIPENDENZA AFFETTIVA PATOLOGICA: COME USCIRNE
Il dipendente affettivo patologico rientra nei soggetti con forte disturbo della personalità: non riesce a vivere autonomamente, ha sempre bisogno di conferme e rassicurazioni, non sa stare da solo.
E’ importante chiedere aiuto a professionisti, ricorrere ad un trattamento psicoterapeutico mirato ed efficace.
Durante il trattamento bisogna intervenire su due fronti:
– affrontare e risolvere la sofferenza attuale della vittima intervenendo sui sintomi spesso molto forti;
– individuare la causa del suo malessere per poi curarlo. Spesso, dietro questa patologia, si nascondono esperienze precoci di abbandono e trascuratezza vissute da bambini in famiglia.
E’ un lavoro delicato che punta a risolvere il conflitto interiore della persona affetta da dipendenza affettiva patologica per poi ‘ricostruirla’ cercando di restituirle un senso di potere d’azione che la porterà a cambiare. Dovrà imparare ad incanalare quel tipo di eccitazione insana in attività più sane dirigendo meglio le energie per mettere fine alla tossicità della relazione.
Se dietro ad una relazione tossica non ci sono storie di violenza, un rapporto di dipendenza non è detto che debba terminare: si può intervenire sulla coppia per risolvere i problemi provando a salvare il rapporto.
Il rapporto ‘malato’ può riguardare anche madre e figlio, non solo la coppia.
Gran parte dei dipendenti affettivi patologici si rivolgono ad uno psicologo chiedendo aiuto per il partner piuttosto che per se stessi definendolo narcisista. Non sempre è così: bisogna, innanzitutto chiedersi ‘perché accetto tutto questo?’, ‘perché soffro così tanto?’.
E’ utile anche partecipare a gruppi di aiuto-aiuto per condividere e confrontare le proprie storie, gli stati d’animo.