
In questo articolo:
I DIRITTI DELLE DONNE: NORMATIVE NAZIONALI, EUROPEE E INTERNAZIONALI
Nel 2019 siamo ancora qui a dover parlare dei diritti delle donne, di tutela, protezione, parità di genere.
E’ necessario perché, nonostante i passi compiuti, le lotte, le campagne di sensibilizzazione, manifestazioni, proteste, pari opportunità e leggi approvate, esiste tuttora una cultura maschilista e patriarcale da combattere e sradicare.
Un mondo che sembra fare passi da gigante in termini di progresso scientifico e tecnologico resta indietro in termini di progresso culturale.
Per il cambiamento culturale, la strada è ancora lunga da fare e vogliamo percorrerla tutta ricordando – soprattutto a uomini dominatori e violenti, ai padri/padroni – quali sono i sacrosanti diritti della donna. Non la donna oggetto ma soggetto di diritto in Italia, nell’Unione Europea e nel mondo.
Negli ultimi anni, si assiste ad una rimonta in termini di leggi a tutela delle donne. Perché? Perché nel mondo la condizione subalterna della donna rispetto all’uomo esiste ancora.
Sei sicura/a di conoscere tutte le normative nazionali e internazionali per la tutela dei diritti delle donne? Leggendo questo articolo potresti scoprire dettagli interessanti e per nulla scontati.
Dalla Costituzione della Repubblica italiana al Codice Rosso, scopri tutto quello che c’è da sapere.
I DIRITTI DELLE DONNE E LA PARITÀ DI GENERE CHE NON C’È
Attualmente, in gran parte del mondo, la donna è ancora lontana dal godere di una parità dei diritti rispetto all’uomo. La discriminazione a tutti i livelli (in campo economico, sociale, culturale, politico) è una realtà nonostante le leggi ad hoc approvate in molti Paesi, inclusa l’Italia.
Cosa significa oggi parità di genere?
I recenti studi condotti dalla Banca Mondiale rispondono a questa domanda mostrando una realtà negativa.
La donna si trova tuttora chiusa nel recinto dei pregiudizi discriminanti.
Il 27 febbraio scorso, l’ente internazionale Banca Mondiale ha riportato dati poco confortanti: su 187 Paesi soltanto in 6 nel mondo (Belgio, Danimarca, Francia, Lettonia, Lussemburgo e Svezia) le donne godono degli stessi diritti degli uomini. A livello mondiale, le donne ricevono solo tre quarti dei diritti degli uomini.
In quasi tutto il mondo, l’uguaglianza tra uomini e donne non esiste in termini di retribuzioni, tutela e sicurezza personale, matrimonio, politiche pensionistiche, ecc. Nella classifica, l’Italia si piazza al 22° posto con un punteggio di 94,38 (tra i peggiori in Europa).
Nel mondo, sono ancora 2,7 miliardi le donne svantaggiate rispetto agli uomini in campo lavorativo.
Kristalina Georgieva, a capo della Banca Mondiale, dichiara: “Se le donne avessero pari opportunità il mondo sarebbe più giusto ed anche più prospero. Converrebbe non solo alle donne ma, soprattutto, a uomini e nazioni”.
DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI DELL’UOMO (E DELLA DONNA)
Il principio di parità di genere è stato esplicato nella Dichiarazione Universale dei diritti umani. Tale concetto prevede che le persone ricevano pari trattamenti, con uguale facilità di accesso ad opportunità e risorse, indipendentemente dal genere.
L’art. 16 contiene uno dei concetti fondamentali della Dichiarazione Universale dei diritti umani dedicato alla libertà di fondare una propria famiglia:
- Comma 1: “Uomini e donne in età adatta hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia, senza alcuna limitazione di razza, cittadinanza, religione. Essi hanno eguali diritti riguardo al matrimonio, durante il matrimonio e all’atto del suo scioglimento”. Viene evidenziata l’età ‘adatta’ per bandire la pratica tristemente diffusa ancora oggi in alcuni Paesi nel mondo delle ‘spose bambine’.
- Comma 2: “Il matrimonio potrà essere concluso soltanto con il libero e pieno consenso dei futuri coniugi”. Si evidenzia il ‘consenso’ dei futuri coniugi, donna inclusa la cui opinione non era affatto considerata ai tempi in cui le famiglie ‘davano’ in sposa la propria figlia ad un buon ‘partito’ maritale.
L’attuale realtà contraddice l’aspetto normativo: sono ancora tante, troppe le donne nel mondo che non possono lavorare, gestire soldi autonomamente, rivendicare diritti di proprietà. Al punto tale che esiste un tipo di violenza, la violenza economica, che costringe le donne a dover subire la dominazione di un marito violento soltanto perché è lui a poter gestire il portafoglio.
CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL’UNIONE EUROPEA
La parità tra uomini e donne deve essere assicurata in tutti i campi. Questo è il concetto assoluto contenuto nell’articolo 23 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.
Si ribadisce il principio di parità uomo-donna a 360 gradi non come ‘cortesia’ o ‘gentilezza’ nei confronti delle donne ma come dovere da parte degli Stati membri dell’Ue.
Tra legge e realtà continua ad esserci un divario notevole; la disparità tra sessi è evidente, ma è importante nella società la consapevolezza, una presa di coscienza da cui partire a livello normativo per consentire il cambiamento. Senza contare che, se necessario, è possibile appellarsi a leggi esistenti.
I DIRITTI DELLE DONNE NELLA COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA
Sono complessivamente sette gli articoli della nostra Costituzione che rimarcano la tutela dei diritti delle donne secondo principi fondamentali. Si tratta degli articoli 3, 29, 31, 37, 48, 51 e 117.
Analizziamoli uno alla volta.
Art. 3 – Parità di diritti
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. Il compito della Repubblica è di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Secondo i nostri padri costituenti, dunque, l’appartenenza al genere femminile non deve essere fonte di discriminazione. Non deve esserlo né davanti alla legge né in termini di dignità sociale.
Art. 29 – Uguaglianza morale e giuridica
“Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare”.
Questo articolo della Costituzione italiana si fonda su un principio di uguaglianza morale e giuridica.
La famiglia (società naturale fondata sul matrimonio) non ammette padri/padroni che, in passato, disponevano a piacimento della vita dei figli e delle mogli.
Nel tempo, si è passati dal concetto di potestà genitoriale a quello di responsabilità genitoriale per il quale è stata spazzata via l’idea di supremazia della figura paterna (il padre/padrone).
Esistono i genitori, senza distinzione tra padre e madre, uomo e donna. Hanno entrambi la stessa responsabilità e gli stessi diritti in quanto genitori.
In caso di conflittualità tra coniugi e separazione, l’orientamento è quello di ‘maternal preference’ (preferenza della figura materna) per l’affidamento dei figli minori.
La sentenza n. 18087 del 14.09.2016 della Corte di Cassazione ha stabilito che, in caso di affidamento dei figli minori “deve trovare applicazione il criterio della maternal preference”.
Art. 31 – Protezione della donna/madre
“La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo”.
Con questo articolo, oltre ad agevolare con misure economiche ed altre provvidenze la formazione della famiglia, la Costituzione afferma che uno dei doveri della nostra Repubblica è proteggere la maternità, l’infanzia, la gioventù attraverso istituti appropriati. Dalla parità dei diritti si passa a riconoscere la protezione della donna/madre.
Art. 37 – I diritti della donna lavoratrice
“La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni del lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale e adeguata protezione”.
Di nuovo, insieme alla parità dei diritti, si evidenzia il duplice ruolo della donna ovvero quello di lavoratrice e madre/moglie.
In Italia, i diritti sul lavoro delle donne in gravidanza sono diversi:
- Congedo di maternità per lavoratrici dipendenti, ovvero periodo obbligatorio di interruzione dal lavoro riconosciuto dallo Stato a tutte le lavoratrici (2 mesi) prima e (3 mesi) dopo il parto. Tale periodo prevede una somma di denaro (l’80% dello stipendio) per consentire il regolare sostentamento per impossibilità di lavorare;
- Congedo di maternità per disoccupate se, nei 2 anni precedenti la gravidanza, la lavoratrice ha versato almeno 26 settimane di contribuzione;
- Congedo anticipato per complicanze, problemi di salute, ecc.;
- Esami gratuiti ed esenzioni;
- Permessi retribuiti dal lavoro per eseguire esami e visite richieste dal medico curante;
- Esonero da lavori gravosi (come il trasporto o sollevamento di pesi) o pericolosi (radiazioni, agenti chimici, ecc.);
- Nessun lavoro notturno (dalle 24 alle 6 del mattino);
- Diritto al non licenziamento (dal giorno di comunicazione della gravidanza al datore di lavoro fino al primo anno del figlio);
- Parcheggi e posti riservati (posteggi rosa) anche sui mezzi pubblici;
- Diritto all’educazione e alla gentilezza (es. far passare avanti una donna incinta in fila alla posta o al supermercato).
DIRITTI DELLE DONNE SUL LAVORO E REALTÀ QUOTIDIANA
Nonostante tutti i diritti delle donne previsti dalla Costituzione, nel campo lavorativo la realtà discriminante non cambia.
Rispetto agli uomini, le donne sono sottopagate e meno occupate.
Secondo i dati Eurostat pubblicati a marzo 2019, il tasso di occupazione delle donne tra i 20 e i 64 anni è del 66,5% contro il 78% dei coetanei maschi. La situazione peggiore si registra a Malta, seguita dall’Italia.
I dati Istat 2017 riportano che la percentuale di trentenni con titolo di studio terziario è del 32,5% per le donne, mentre per gli uomini è del 19,9%. Dopo la laurea la situazione si rovescia: solo il 59,2% delle donne neolaureate lavora, mentre per gli uomini la percentuale aumenta al 64,8%.
Il più recente rapporto Censis mostra che in Italia le donne, pur essendo più numerose e mediamente più istruite, soffrono un tasso di disoccupazione che sfiora il 12% (superiore solo a quello di Spagna e Grecia).
Art. 48, 51, 117 – Diritto di voto e parità nella vita politica
L’art. 48 della Costituzione dichiara che ”sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età” (elettorato attivo).
L’art. 117 (comma 7) sancisce che “le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive” (elettorato passivo).
L’art. 51 stabilisce che “tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini”.
Grazie al diritto di voto riconosciuto dalla Costituzione, le donne sono entrate a far parte dell’elettorato attivo e passivo.
IL CODICE ROSSO A CONTRASTO DELLA VIOLENZA SULLE DONNE
Una menzione speciale merita la legge a tutela delle donne più recente, il Codice Rosso in vigore dal 9 agosto scorso, composto da 21 norme (Ddl 1200/2019).
Prevede una serie di disposizioni di diritto penale e procedurale finalizzate alla tutela della vita delle donne esposte a violenza di genere. Prevede una corsia preferenziale con indagini più rapide, l’inasprimento delle pene per reati commessi in ambito familiare e rapporti di convivenza.
Ha introdotto il reato di revenge porn (vendetta porno con condivisione di immagini o video intimi online senza consenso del diretto interessato), di sfregio al viso e dei matrimoni forzati.
LE LEGGI CHE HANNO CAMBIATO LA VITA DELLE DONNE ITALIANE
Abbiamo descritto gli articoli della Costituzione della Repubblica italiana ma è doveroso ricordare quali sono state, dal 1945 in poi, le leggi storiche che hanno cambiato la vita delle donne italiane.
Prima di allora, le donne non potevano votare né abortire né divorziare. Se la loro ‘colpa’ era quella di ledere l’onore maschile, la loro uccisione non era considerata né femminicidio né un atto grave. Al solo pensarci vengono i brividi. Decenni di lotte civili e femministe, anno dopo anno, sono riuscite a cambiare situazioni molto difficili per le donne.
Ecco, di seguito, le leggi storiche più importanti e significative a tutela dei diritti delle donne italiane.
- Diritto di voto
Un decreto del 1945 concede alle donne maggiorenni (21 anni) il diritto di voto attivo (votare i candidati alle elezioni politiche), mentre un decreto del 1946 concede alle donne maggiori di 25 anni il diritto di voto passivo (presentarsi alle elezioni ed essere votate).
Le donne italiane votano, per la prima volta, il 2 giugno 1946 per scegliere in un Referendum istituzionale tra Monarchia e Repubblica.
- Divieto di licenziamento per matrimonio o maternità
Nel 1963 il congedo di matrimonio e di maternità viene esteso a tutte le lavoratrici dipendenti.
- Accesso alle professioni pubbliche
La legge del 1963 consente alle donne di entrare in Magistratura avviando successive riforme tardive. Nel 1981 le donne vengono ammesse nel Corpo di Polizia, mentre nel 1999 con la legge 380 vengono ammesse nelle Forze Armate e nella Guardia di Finanza.
- Divorzio
Il divorzio viene concesso e regolamentato nel 1970 con iter giuridico di 5 anni (ridotto a 3 a partire dal 1987).
- Riforma del diritto di famiglia
Nel 1975 i coniugi vengono riconosciuti uguali davanti alla legge, il patrimonio di famiglia è condiviso secondo la comunione dei beni, i figli nati fuori dal matrimonio godono degli stessi diritti di quelli legittimi ed il tradimento del marito può essere causa di legittima separazione.
- Divieto di discriminazione sul lavoro
Il primo impulso per la tutela delle donne in ambito lavorativo è dato dalla legge n.903 del 1977, che sancisce il “divieto di discriminazione nell’accesso al lavoro, nella formazione professionale, nelle retribuzioni e nell’attribuzione di qualifiche professionali”.
- Aborto
La legge 194 sull’aborto del 1978 concede alle donne l’interruzione volontaria di gravidanza per motivi personali, di salute della donna e del nascituro o circostanze del concepimento come lo stupro. E’ possibile abortire entro i primi 90 giorni di vita del feto o entro i suoi 5 mesi di vita nel caso in cui la gravidanza comporti rischi per la madre o il bambino.
Nella realtà di tutti i giorni, spesso l’aborto è negato dalla prassi in Paesi dove è un diritto per legge. Succede anche in Italia. In certe regioni come il Molise risulta impossibile abortire perché i medici sono obiettori per il 96,4%.
A livello nazionale, l’obiezione di coscienza coinvolge il 68,4% dei ginecologi, il 45,6% di anestesisti ed il 38,9% di personale non medico.
L’Associazione Luca Coscioni rivela che il 31% della popolazione vorrebbe una maggiore applicabilità della legge ed un maggior utilizzo del supporto farmacologico all’interruzione di gravidanza. Una parte dell’Italia attacca la Legge 194, tenta costantemente di disapplicare la norma.
Soltanto il 64% delle strutture ospedaliere permette l’aborto: gran parte di queste lo fa entro i 90 giorni, mentre l’interruzione nel periodo successivo per grave rischio della madre o malformazione grave del feto non viene eseguita in gran parte degli ospedali in Italia. I numeri dell’aborto farmacologico sono ancora più bassi.
I medici che lavorano in questo campo, oltretutto, sono esposti a maggior rischi professionali: eseguendo sempre gli stessi interventi anche la loro carriera viene penalizzata.
- Delitto d’onore e matrimonio riparatore illegali
Entrambi vengono riconosciuti illegali nel 1981. Viene così abrogata parte della legge che attenuava sensibilmente la pena per chi commetteva omicidio per causa d’onore (uccidendo coniuge, figlia o sorella in uno stato d’ira) e scompare il matrimonio riparatore nei casi in cui lo stupratore poteva estinguere il reato sposando la vittima di violenza sessuale.
- Pensioni delle casalinghe
La legge n 389 del 5 marzo 1963 istituisce presso l’Inps la gestione separata “mutualità pensioni” per l’assicurazione volontaria delle pensioni delle casalinghe. Una tappa fondamentale per il riconoscimento della dignità del lavoro domestico e del ruolo della casalinga.
Per il pieno riconoscimento del valore sociale del lavoro domestico si dovrà, però, attendere la legge n. 493 dell’8 dicembre 1999 con cui viene istituita l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni domestici, resa obbligatoria dal marzo 2001.
- Pari opportunità nel mondo del lavoro
La legge del 2010 recepisce direttive della Comunità europea con sgravi fiscali per promuovere orari di lavoro flessibili. Il congedo parentale viene esteso al massimo per favorire il ritorno al lavoro della donna e vengono introdotti incentivi per promuovere l’imprenditoria femminile, sanzioni contro le molestie sessuali, disparità di trattamento sul lavoro.
- Quote rosa nelle aziende
Nel 2011 la legge 120 Golfo-Mosca stabilisce che i Consigli di Amministrazione delle aziende quotate in borsa abbiano almeno un quinto di componenti donne. A partire dal 2015, la quota rosa sale ad un terzo del totale.
- Violenza contro le donne
Gli interventi legislativi contro la violenza sulle donne hanno inizio nel 2001 con la normativa sui maltrattamenti domestici. Prosegue nel 2009 introducendo il reato di stalking e nel 2013 col il decreto legge 93/2013 sul femminicidio. La legge del 2013 prevede l’arresto obbligatorio nei casi di stalking e maltrattamento con l’introduzione di una particolare norma: la denuncia del violento è irrevocabile al fine di evitare ritrattamenti causati da timori da parte della donna.
Parallelamente, vengono inasprite le pene per il reato di violenza in presenza di minori e vengono stanziati fondi per finanziare case-rifugio per le donne vittime di violenze di genere.
La legge più recente a tutela delle donne vittime di violenza è il Codice Rosso di cui abbiamo già trattato.
In 70 anni di vita repubblicana e tappe in Parlamento, si può dire che il bilancio normativo sia positivo: indubbiamente, la condizione delle donne italiane è via, via migliorata.
Non abbiamo dubbi anche su un’altra questione: il nostro Paese è ancora lontano dal raggiungere la piena parità dei sessi.
La lotta deve continuare per garantire alla donna non soltanto l’uguaglianza e la libertà che le spettano di diritto ma anche la tutela dalla violenza, il cambiamento culturale che spazzi via la mentalità patriarcale, il riconoscimento della sua dignità di persona e di madre.