
FEMMINICIDI E OBIEZIONE DI COSCIENZA: IL NO DELL’AVVOCATA ROSSANA ROVERE FA DISCUTERE
La difesa è un diritto inviolabile (art. 24 della Costituzione). Il diritto alla difesa è sacro anche per il peggior criminale. Il rifiuto da parte di un avvocato di difendere un criminale, in passato, ha riguardato fenomeni come la mafia o il terrorismo. Oggi, il connubio è Femminicidi e Obiezione di coscienza. I tempi cambiano e la violenza contro le donne ha raggiunto livelli e numeri inaccettabili.
E’ successo all’avvocata Rosanna Rovere, che ha rinunciato all’incarico di difendere Giuseppe Forciniti, il 33enne infermiere che il 26 novembre 2020 ha ucciso con 8 coltellate la compagna 32enne Aurelia Laurenti nel loro appartamento di Roveredo in Piano (Pordenone).
Prima di compiere il delitto, Forciniti ha accompagnato i due figli dal cognato chiedendogli di tenerli senza specificare, perché con le mani ancora sporche di sangue, ha parlato di irruzione in casa di un ladro, poi ha confessato dichiarando di essersi difeso da un’aggressione da parte di Aurelia. In seguito, si è detto stressato per i ritmi di lavoro in ospedale dovuti all’emergenza sanitaria del Covid come se lo stress potesse giustificare 8 feroci coltellate al volto e alla nuca con cui ha tolto la vita ad Aurelia strappando per sempre a due bambini piccoli (8 e 3 anni) la loro madre. Due bambini che sono anche figli di Forciniti.
Per gli inquirenti, la sua condotta è probabilmente volontaria e premeditata: si trova in carcere con l’accusa di omicidio volontario aggravato.
“Non sono serena, non posso accettare l’incarico. Mi dispiace, ma le mie battaglie preferisco farle per le donne” ha spiegato l’avvocata Rosanna Rovere, già presidente dell’Ordine degli avvocati di Pordenone.
Il “grande rifiuto” ha suscitato clamore accendendo il dibattito sull’obiezione di coscienza relativa all’assistenza legale.
FEMMINICIDI E OBIEZIONE DI COSCIENZA: NON È LA PRIMA VOLTA CHE UN AVVOCATO RIFIUTA DI DIFENDERE UN REO CONFESSO
Femminicidi e obiezione di coscienza. Non è la prima volta che succede.
Alla vigilia di Natale, nel 2018, due avvocati si rifiutarono di difendere un uomo che aveva strangolato la moglie a Sassari.
In piena campagna #metoo, Harvey Weinstein ha incassato tre ‘no’ prima che Donna Rotunno accogliesse, alla fine, la difesa del molestatore seriale di Hollywood.
Il caso di Pordenone ha sollevato dubbi sulla professione di avvocato dinanzi a crimini come il femminicidio e la violenza sulle donne.
Il No dell’avvocata Rovere, impegnata da sempre nell’assistenza legale di donne vittime di violenza, è obiezione di coscienza? Non sorprende e non è l’unica. Sono decine le avvocate italiane che, collaborando con i centri antiviolenza, scelgono di non difendere uomini accusati di stupro, violenza domestica, femminicidio. Lo fanno per coerenza. Tutte queste professioniste decidono nel totale anonimato, rinunciando ad un tornaconto economico, senza creare particolare clamore.
LE MOTIVAZIONI DICHIARATE PUBBLICAMENTE DALL’AVVOCATA ROSANNA ROVERE
Rosanna Rovere era stata scelta da Forniciti come avvocato difensore nel processo. L’avvocata ha rinunciato all’incarico ed ha voluto spiegare perché a mezzo stampa.
Di seguito, riportiamo un paio di dichiarazioni rilasciate ad alcune testate giornalistiche:
“Il mio impegno per i diritti delle donne non mi avrebbe permesso di essere serena. Chiunque ha il diritto di essere difeso da un legale che creda alla causa. Non sono io quell’avvocato”.
“Il diritto alla difesa è sacro, garantito dalla Costituzione, ma va esercitato nel migliore dei modi. Il professionista deve avere a cuore anche l’interesse del cliente… il mio rifiuto è anche nell’interesse dell’assistito che necessita di qualcuno che sia libero da preconcetti. Non potevo garantirgli ciò che qualunque cittadino merita: un legale in grado di agire senza retropensieri“.
Come ha sostenuto Rosanna Rovere, da libera professionista può scegliere i clienti. Ha esercitato un suo diritto nell’interesse dei diritti dell’assistito e dell’imparzialità della legge. L’avvocata ha definito insolito il clamore suscitato dal suo rifiuto: probabilmente, la coincidenza con il 25 novembre (Giornata mondiale contro la violenza sulle donne) ha trasformato il suo ‘no’ in una notizia clamorosa. Per lei, dover affrontare questo caso sarebbe stato un tormento.
Quella di Rosanna Rovere è obiezione di coscienza? Certo: essendo una libera professionista può avvalersi di questo diritto.
Ricordiamo cos’è l’obiezione di coscienza. E’ il diritto di rifiutare di ottemperare a un dovere imposto dall’ordinamento giuridico se contrario alle convinzioni morali, etiche o religiose di una persona.
L’obiezione di coscienza garantisce libertà di opinione coerente con le azioni, quando gli obblighi imposti dalla legge incidono su convinzioni radicate nella persona.
In Italia, l’obiezione di coscienza è stata riconosciuta inizialmente con la Legge 15 dicembre 1972, n. 772 a chi rifiutava il servizio militare.
In seguito, la Legge 8 luglio 1998, n. 230, riconobbe in pieno il riconoscimento giuridico dell’obiezione di coscienza come diritto della persona.
L’esercizio del diritto all’obiezione di coscienza è stato esteso in altri ambiti, ad esempio in caso di aborto per i medici (L.194/78). C’è da dire che i medici non rischierebbero comunque né un processo penale né la radiazione dall’albo professionale né il licenziamento se rifiutassero di eseguire l’interruzione di gravidanza.
UN AVVOCATO PUÒ RIFIUTARSI DI DIFENDERE UN UOMO VIOLENTO O UN FEMMINICIDA?
Il penalista Mario Scialla, consigliere segretario dell’Ordine degli avvocati di Roma, riferisce ad Avvenire che l’obiezione di coscienza, prevista per i medici, non si estende ai difensori di fiducia.
I liberi professionisti possono sempre rifiutare un incarico se non sono ‘sereni’. Il problema sorge con gli avvocati d’ufficio, obbligati per legge a prestare assistenza legale. In questo caso, le ‘incompatibilità’ possono essere ‘laceranti’ in quanto il diritto di difesa è sacrosanto e non si possono tirare indietro.
Difficilmente un maltrattante si rivolge spontaneamente ad un avvocato impegnato nella lotta contro la violenza sulle donne e a difendere i loro diritti. Se lo fa, come ha spiegato Elena Biaggioni, referente delle avvocate per D.i.Re., potrebbe avere in mente una strategia processuale a suo favore. Scegliere come difensore un’avvocata nota per il suo impegno a favore delle donne potrebbe ‘sminuire’ davanti all’opinione pubblica e al giudice le sue colpe.
FEMMINICIDIO E OBIEZIONE DI COSCIENZA: IL PARERE DI MARIO SCIALLA
Nell’articolo pubblicato da Avvenire, non poteva mancare il parere del penalista Mario Scialla. Il consigliere segretario dell’Ordine degli avvocati di Roma ricorda qual è il ruolo di un avvocato: garantire al cliente un processo equo senza dare giudizi morali, senza pregiudizi né scrupoli di coscienza, altrimenti rischia di sostituirsi al giudice. In qualsiasi caso, un penalista deve svolgere il suo lavoro fino in fondo.
Per Scialla non deve esserci spazio per conflitti di coscienza. Un professionista si preoccupa della propria reputazione ma ciò non significa che debba svolgere il proprio lavoro con giudizi o pregiudizi morali.
Le avvocate che difendono le donne e la stessa Rosanna Rovere, allineandosi dalla parte delle vittime, rifiutano di difendere un uomo violento o un femminicida secondo un giudizio o pregiudizio morale sul crimine commesso e sullo stesso accusato. Ne consegue che, per l’opinione pubblica, la reputazione del professionista che sceglierà di difendere un uxoricida rischia di essere danneggiata. L’opinione pubblica, la pubblicità negativa e le gogne social potrebbero vederlo come un avvocato cinico e senza scrupoli.
IN CONCLUSIONE
Il concetto deontologico è questo: un avvocato deve essere in grado di difendere tutti, senza distinzione, altrimenti è meglio il silenzio.
Quindi? L’avvocata Rosanna Rovere ha sbagliato a rifiutarsi di difendere l’autore di un femminicidio?
Il giusto compromesso sarebbe questo: si fa ma non si dice. Se un avvocato non si sente ‘sereno’ e non è in sintonia con l’accusato può rifiutarsi senza, però, rendere pubblico il motivo della sua scelta sui media.
Il Consiglio dei presidenti dell’Unione delle Camere penali del Veneto ha espresso il suo parere in un comunicato stampa. La libertà di un difensore non deve tradursi nel rilasciare dichiarazioni pubbliche sul motivo del rifiuto dell’incarico.
Spiegare i motivi potrebbe pregiudicare la posizione giuridica dell’imputato o indagato. Allo stesso tempo, può “gettare una pericolosa ombra” sul ruolo e sulla figura stessa dell’avvocato. La figura del difensore di un criminale potrebbe coincidere, per l’opinione pubblica, con quella dell’imputato, soprattutto se si tratta di un reato ripugnante come il femminicidio.
Ne conseguirebbe l’identificazione del difensore con il criminale, “come se la tutela del diritto costituzionale di difesa diventasse difesa del crimine stesso“. Questo non deve mai succedere: la posizione dell’avvocato non deve mai essere confusa con quella dell’imputato.