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FORZE DELL’ ORDINE E VIOLENZA
Il 63% delle vittime di femminicidio, nel biennio 2017-2018, non ha confidato a nessuno le violenze subite: solo il 15% delle donne uccise ha denunciato violenze o maltrattamenti. E’ questo il dato più amaro emerso nelle Relazione sui femminicidi in Italia presentata dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio in occasione del 25 novembre scorso. E’ un dato allarmante che ha spinto la presidente della Commissione d’inchiesta parlamentare Valeria Valente a chiedersi: “Dove sbagliamo?”.
LE FORZE DELL’ ORDINE COME GESTISCONO I CASI DI VIOLENZA DI GENERE E DOMESTICA?
Le donne che denunciano alle Forze dell’Ordine le violenze subite dicono di temere per la propria vita e quella dei loro figli ma non vengono capite, i loro timori vengono minimizzati. Non sono sufficientemente ascoltate e credute. Dalla Relazione risulta che le Forze dell’Ordine spesso sottovalutano i ‘segnali’ di violenza di genere: non sono in grado di distinguere tra violenza domestica e semplice lite familiare. In diversi casi non vengono avviate indagini né emesse misure cautelari.
Emerge sempre di più la necessità di formazione tanto per le Forze dell’Ordine quanto per pm e giudici che dimostrano spesso difficoltà nel riconoscere la violenza ed un’inadeguata conoscenza dei fattori di rischio.
Questo ha concluso la Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio.
Alessandra Simone, Dirigente superiore della Polizia di Stato che da anni si occupa di violenza di genere è giunta alle stesse conclusioni: la formazione è necessaria sia alle Forze dell’Ordine sia a magistrati, avvocati ed il resto degli operatori di rete.
FORZE DELL’ ORDINE: COME GESTISCONO I CASI DI VIOLENZA DI GENERE?
Gli strumenti messi in campo per contrastare la violenza domestica e di genere ci sono ma come vengono utilizzati da Polizia e Carabinieri? Alcune avvocate ed operatrici della rete D.i.Re e del CADMI (Casa delle Donne Maltrattate di Milano) hanno risposto esponendo al Post una serie di problemi che si trovano di fronte le donne vittime di violenza che si rivolgono alle Forze dell’Ordine.
Seppure la gestione dei casi di violenza sulle donne da parte di Polizia e Carabinieri sia migliorata negli ultimi anni (anche grazie alla collaborazione con i CAV – centri antiviolenza), i risultati sembrano non essere ancora soddisfacenti.
Le vittime di violenza domestica e di genere non denunciano per vari motivi: vergogna, imbarazzo, timore di ritorsioni del maltrattante, ma anche paura di non essere credute o di essere colpevolizzate (vittimizzazione secondaria) e scarsa fiducia nei confronti delle Forze dell’Ordine.
Pur avendo a disposizione strumenti per intervenire in modo più efficace e tempestivo, tuttora le donne non si sentono abbastanza tutelate e comprese. E’ una realtà evidenziata da Valeria Valente e dai centri antiviolenza: spesso, il primo contatto con gli agenti viene vissuto dalle donne come qualcosa di colpevolizzante e frustrante. Il problema riguarda tanto la mancanza di formazione degli agenti quanto il modo con cui intervengono ed interagiscono con le vittime.
FORZE DELL’ ORDINE E GESTIONE DEI CASI DI VIOLENZA DI GENERE: STRUMENTI DI PREVENZIONE E CONTRASTO
Non mancano le iniziative e gli strumenti a disposizione delle Forze dell’Ordine adottati negli ultimi anni per prevenire e contrastare la violenza di genere. Si passa da campagne di sensibilizzazione e informazione a protocolli veri e propri e app che consentono di segnalare casi di violenza e di chiedere interventi tempestivi in caso di pericolo (YouPol, Scudo). In particolare, l’app Scudo consente agli agenti intervenuti sul luogo di una violenza o lite di accedere a un database per verificare eventuali interventi precedenti anche in assenza di denuncia formale. E’ un’app utile per controllare i comportamenti di soggetti violenti allo scopo di prevenire ulteriori aggressioni.
I tre principali protocolli contro la violenza sulle donne sono:
- Protocollo Zeus della Divisione Anticrimine della questura di Milano introdotto nel 2018 e adottato in seguito da altre Regioni italiane. Si tratta di un protocollo d’intesa tra la questura e il CIPM (Centro Italiano per la Promozione della Mediazione) che invita i maltrattanti a seguire un percorso terapeutico gratuito per evitare recidive;
- Protocollo L.i.a.n.a. (Linea Interattiva Assistenza Nazionale Antiviolenza) per Polizia e Carabinieri, che ha una funzione simile a quella del Protocollo Zeus;
- Protocollo EVA (Esame Violenze Agite) della Polizia che fornisce anche linee guida su come intervenire nei luoghi dove si consuma la violenza domestica.
Una delle iniziative più apprezzabili della Polizia di Stato è il progetto “Questo non è amore”, presentato nel 2016. Ha lo scopo di prevenire e punire la violenza di genere, proteggere le donne che non hanno il coraggio di denunciare e di rivolgersi alle Forze dell’Ordine. Il progetto prevede la presenza di un camper in varie province italiane con a bordo operatori altamente specializzati (psicologi, specialisti della Polizia giudiziaria, medici, investigatori, operatori della Squadra mobile e della divisione anticrimine, rappresentanti di associazioni a supporto delle donne). Sensibilizza l’opinione pubblica sui temi della violenza di genere, accoglie ed assiste le vittime. Con il progetto “Questo non è amore” la Polizia di Stato entra anche nelle scuole e nelle università per incontrare gli studenti mettendo in atto una prevenzione di tipo culturale e sociale.
ERRORI FREQUENTI DELLE FORZE DELL’ ORDINE EVIDENZIATI DALLA RETE D.I.RE E CADMI
Nonostante gli strumenti a disposizione, le donne vittime di violenza che si rivolgono ai CAV espongono una serie di problemi con le Forze dell’Ordine, come hanno spiegato alcune operatrici ed avvocate della rete D.i.Re e del CADMI.
Tra gli errori frequenti riportati dai centri antiviolenza troviamo:
- Informazioni errate quando la polizia giudiziaria raccoglie una denuncia formale: ad esempio, la vittima viene informata sul fatto che potrebbe perdere i figli scoraggiandola a denunciare l’aguzzino;
- Invito a risolvere la questione in famiglia confondendo la lite familiare con la violenza domestica. Tale invito rientra tra gli interventi da evitare secondo le linee guida del Consiglio Superiore della Magistratura. Nella Relazione presentata dalla Commissione d’inchiesta sul femminicidio, viene citato il caso di un agente che si è limitato a convocare un uomo violento invitandolo a prendere un caffè e ad “avere pazienza”: a distanza di pochi mesi, l’uomo ha sparato alla moglie ed ucciso due figlie;
- Domande sbagliate alla donna vittima di violenza, spesso poste in tono inquisitorio e colpevolizzante da parte delle Forze dell’Ordine;
- Porre domande alla donna in presenza del suo aguzzino piuttosto che ascoltare le due parti in luoghi separati.
I suddetti errori vengono commessi indipendentemente dal fatto che gli operatori di polizia siano uomini o donne.
FORMAZIONE E CONTATTO DIRETTO CON I CAV: COSA CAMBIERÀ
Riguardo alla formazione sono stati fatti passi in avanti negli ultimi anni.
È stato inserito il tema della violenza di genere nei programmi formativi delle Scuole di Polizia formulati con la collaborazione di centri antiviolenza, procure, figure professionali esperte sul campo. Sono nate iniziative di collaborazione tra Forze dell’Ordine e centri antiviolenza: l’associazione D.i.Re conferma che la partecipazione degli agenti è cresciuta negli ultimi tempi. Il problema è che non esiste un’azione capillare e sistematica di Polizia e Carabinieri sul territorio nazionale.
La realtà è disomogenea a seconda dei singoli contesti (dirigenza del commissariato, centrale) più o meno attenti al fenomeno della violenza o in contatto con i centri antiviolenza. Quando una donna denuncia la violenza, può capitare l’agente preparato, che interviene nel modo giusto, e quello che confonde la violenza domestica con la lite e, di conseguenza, scoraggia la vittima a sporgere denuncia. Del resto, pensare di cavarsela con la formazione non basta: c’è un lavoro più profondo da fare sugli stereotipi di genere che non risparmiano neanche gli operatori di giustizia.
La presidente della rete D.i.Re, Antonella Veltri, ha dichiarato che nei prossimi 5 anni la sinergia tra Forze dell’Ordine e centri antiviolenza, la possibilità che lavorino a stretto contatto, dovrebbe diventare sistematica in base agli stessi protocolli su tutto il territorio nazionale.