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VIOLENZA DOMESTICA: L’AGGRESSORE, NON LA VITTIMA, DOVRÀ LASCIARE CASA
In tema di violenza domestica, la decisione del procuratore di Trento, Sandro Raimondi, è quantomeno epocale.
Sarà l’aggressore, non la vittima, a dover lasciare l’abitazione.
Non saranno più donne e bimbi a dover ‘fuggire’ (come se fossero loro i criminali) rischiando non soltanto tutto ciò che una vita incerta comporta ma anche il virus.
In piena emergenza sanitaria per il rischio di contagio da Covid-19, la vittima resta a casa, l’aguzzino deve andarsene. E’ un concetto chiaro e giusto, una soluzione di cui si parla da tempo.
La decisione del procuratore Raimondi è stata accolta con estremo entusiasmo dall’ufficio politiche di genere della Cgil nazionale. La Cgil non è l’unica a plaudire una delle migliori decisioni degli ultimi mesi, per non dire degli ultimi anni.
In caso di violenza domestica, verranno trasferiti i maltrattanti per due motivi: non esporre i più deboli al rischio Coronavirus e non aggiungere violenza alla violenza.
UNA DECISIONE EPOCALE PER COMBATTERE LA VIOLENZA DOMESTICA
L’ufficio Pari Opportunità della Cgil nazionale non nasconde la preoccupazione che l’associazione D.i.Re, la senatrice Valeria Valente e la ministra Elena Bonetti hanno già espresso di recente.
Per una donna vittima di violenza domestica, la convivenza forzata in casa con il suo aguzzino diventa un incubo. Si ritrova costantemente controllata dal partner violento, prova il terrore di essere ascoltata da lui mentre tenta di chiamare un centro antiviolenza. Senza contare il timore più grande: essere costretta ad abbandonare la propria casa e perdere tutto in un periodo di emergenza epidemiologica tanto complicato come quello che stiamo affrontando.
Mentre il rischio di subire maggiori violenze cresce (con i figli costretti ad assistere alle aggressioni in casa), le denunce calano. Le telefonate al numero antiviolenza nazionale 1522 e al Telefono Rosa si dimezzano.
“Dobbiamo rimuovere tutti i fattori di rischio e gli ostacoli che impediscono alle donne di denunciare. E chiediamo alle procure di tutta Italia di estendere l’importante decisione della procura di Trento“. Così ha concluso la Cgil nazionale non senza ricordare alla ministra Bonetti di rinnovare l’impegno per contrastare la violenza di genere con azioni concrete.
Già, perché al momento la decisione riguarda Trento, il sogno non è ancora divenuto realtà in tutta Italia.
LA NUOVA SOLUZIONE CONQUISTA LE CRONACHE NAZIONALI
Per le donne e madri di famiglia vittime di violenza domestica lasciare la propria abitazione non è una scelta, è un obbligo. Quando continuare a vivere con il partner violento significa rischiare la vita, non c’è altra via oltre alla casa rifugio fornita da un centro antiviolenza.
Una vittima è costretta a fuggire con i suoi figli come se fosse lei la colpevole. Spingere le vittime di violenza (donne e bambini) a lasciare tutto è una seconda violenza, un’ingiustizia.
Il procuratore di Trento ha voluto invertire la tendenza. Ha voluto farlo proprio ora che le denunce calano, in piena emergenza coronavirus.
La decisione del procuratore Sandro Raimondi fa da apripista ad una nuova soluzione per proteggere madri e figli da ulteriori maltrattamenti e dal rischio di contagio da Covid-19.
Questo provvedimento andrebbe applicato a tutte quelle situazioni ben note alle Forze dell’Ordine, possibilmente, in tutta la Penisola. I maltrattanti verranno collocati in altro domicilio, con l’allontanamento, i domiciliari, il carcere.
La decisione ha già attirato l’attenzione e l’interesse, in Toscana, di Monia Monni, vice capogruppo Pd al consiglio regionale toscano, e dei consiglieri regionali Serena Spinelli ed Enrico Sostegni che pensano di sostituire le case rifugio con gli hotel, in fase di emergenza sanitaria.
A dirla tutta, la decisione del procuratore Raimondi ha già conquistato le cronache nazionali.
VIOLENZA DOMESTICA: MOLTI CENTRI ANTIVIOLENZA LASCIATI SOLI
Molti centri sono stati lasciati soli a fronteggiare l’emergenza. Mancano presidi di sicurezza per operatrici ed ospiti, strutture per la quarantena per donne che potrebbero presentare sintomi.
Ecco perché i nuovi ‘casi’ di violenza domestica non possono essere inseriti direttamente nelle case rifugio. L’associazione D.i.Re denuncia la mancanza di fornitura di presidi sanitari (mascherine, guanti, disinfettanti).
Per ora, il Piemonte è l’unica Regione italiana ad essersi attivata per garantire il funzionamento dei centri antiviolenza, incluse le adeguate misure di sicurezza.
In Piemonte esiste un albo regionale dei centri antiviolenza e delle case rifugio: queste strutture vengono considerate come un servizio essenziale,
In merito alla violenza domestica, da tempo i centri auspicavano una decisione come quella presa dal procuratore di Trento. Tale soluzione sarebbe anche meno dispendiosa, oltre che meno traumatica per donne e bambini.
Ora tocca alle altre procure italiane seguire l’esempio del procuratore Sandro Raimondi.