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VIOLENZA ECONOMICA: IL CONTROLLO INVISIBILE E INVIVIBILE
Quest’anno, la Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne ha avuto come fil rouge quello della violenza economica. Si tratta di una delle forme più subdole di aggressione e ricatto nell’ambito della violenza di genere.
In Italia, una donna su due non lavora. Alla nascita del primo figlio il 30% delle madri abbandona la propria occupazione o è costretta a farlo. Dopo la separazione, il 60% delle ex si ritrova nell’indigenza. Fatte queste premesse, è facile intuire che il ricatto economico di mariti e partner diventa un’emergenza sociale.
Elena Bonetti, ministra per le Pari Opportunità e la Famiglia, ha annunciato lo stanziamento di un milione di euro erogabile attraverso il microcredito alle donne che tentano di ricostruirsi una vita dopo aver concluso il percorso all’interno dei centri antiviolenza oppure quando sfuggono a partner pericolosi o sono costrette ad abbandonare la propria casa.
Il progetto del microcredito non sarà un’erogazione diretta di denaro ma un accompagnamento fattivo, un supporto per fornire formazione, sostegno e una prima casa alle donne vittime di violenza per avviare percorsi di liberazione da schiavitù e prevaricazione.
Il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Nunzia Catalfo ha sottolineato la necessità non soltanto di ridurre progressivamente il gender gap nelle retribuzioni, ma di “intervenire rafforzando quelle azioni che permettano l’autonomia lavorativa delle donne per neutralizzare il fenomeno della violenza economica perpetrata nei loro confronti” attraverso la formazione mirata per l’inserimento lavorativo.
Approfondiamo l’argomento, grave ed urgente.
VIOLENZA ECONOMICA: LO SPORTELLO MIA ECONOMIA
Un anno fa, avviando il progetto Reama (Rete per l’Empowerment e l’Auto Mutuo Aiuto), la Fondazione Pangea Onlus ha inaugurato lo sportello Mia Economia che ha già aiutato 52 vittime di violenza economica, un abuso subdolo, invisibile, che non porta segni evidenti sul corpo ma, senza esagerare, può distruggere la vita di una donna.
Questo tipo di violenza, riconosciuta dalla Convenzione di Istanbul come una forma di coercizione, logora donne di ogni età e ceto sociale. Si ritrovano indebitate, con i conti correnti svuotati, senza più soldi neanche per far mangiare i figli, alle prese con mariti aguzzini che pretendono l’affido dei figli perché le vittime non hanno reddito.
E’ una forma subdola di aggressione e ricatto, di abuso e sopraffazione, di violenza a tutti gli effetti. Le vittime si ritrovano a non avere più accesso al denaro, controllate dal compagno-aguzzino. Altre volte, partner o ex partner le allontanano dal lavoro per renderle economicamente dipendenti a loro.
Dissanguate economicamente, private anche degli assegni familiari, falsamente accusate e chiamate madri indegne per sottrarre loro i figli, magari facendole passare per pazze. Certi cosiddetti uomini sono capaci anche di far intervenire il Tso, psichiatri, di denunciare le vittime al Tribunale per i minorenni o di assumere agenzie investigative per provare (falsamente) che la vittima si prostituisce.
Tutto pur di sminuire la moglie, madre e lavoratrice.
Una vittima di abuso finanziario può comprendere di essere tale soltanto quando si allontana dalla situazione patologica. Finché resta ‘dentro’ questa situazione, spesso non se ne rende conto ed è anche questa la pericolosità di una condizione del genere. Ecco perché bisogna cercare aiuto dall’esterno, dalla denuncia alle Onlus o ai centri antiviolenza.
La presa di coscienza è il primo passo da fare per uscire dall’incubo e vincere una vera e propria guerra.
AUTORI DI VIOLENZA ECONOMICA CAPACI DI TUTTO
Talvolta, gli autori di violenza economica non sono maneschi, non picchiano e non compiono violenza fisica, ma sono possessivi ed esercitano il controllo sulla vittima.
Controllano i suoi spostamenti, negli armadi e nei cassetti, frugano nella borsa, seguono, magari per tentare di scoprire un eventuale amante ed avere più carte da giocare a suo favore. Una forma deviata di controllo e possesso.
Succede anche di peggio: mogli che firmano cambiali in bianco o si ritrovano a fare da prestanome di aziende gestite da compagni che accumulano debiti e rischiano di essere condannate al pignoramento diretto sul conto corrente.
Gli autori di violenza sono capaci di usare impropriamente la carta d’identità delle vittime a loro insaputa, di entrare nelle loro tasche, nei loro portafogli, stipendi, conti correnti, eredità al solo scopo di controllarle esercitando un vergognoso abuso di potere.
Molte donne rinunciano alla carriera per ritrovarsi senza risorse per andare avanti, povere. I maltrattanti creano il vuoto intorno alle vittime.
La vittima, nel timore di perdere i figli, non dorme, smette di mangiare. C’è chi diventa bulimica e anoressica con il partner che trasforma la sua malattia in un senso di inferiorità che la donna vive come colpa.
Soltanto affidandosi ad avvocati competenti ed associazioni come Fondazione Pangea (che, oltretutto, è impegnata a reintrodurre nel mondo del lavoro le vittime) è possibile uscire dalla violenza economica.
Oltretutto, fare guerra in tribunale contro l’ex potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio, specie se ci sono bambini di mezzo. Potrebbe rivelarsi un boomerang: è preferibile chiedere consiglio ad avvocati esperti in materia.
La violenza economica è sempre violenza psicologica (crea uno stato di soggezione e dipendenza psicologica), spesso fisica. Questo tipo di violenza impedisce alla vittima di andare via dalla casa del maltrattante.
DATI STATISTICI SULLA VIOLENZA ECONOMICA
Le statistiche riescono a fotografare la realtà della violenza economica in Italia? No, soprattutto pensando a quante donne non sono consapevoli di essere vittime di questa subdola violenza o hanno paura o si vergognano. I freddi numeri sembrano ridurre questo fenomeno ad una realtà secondaria ma non è così. Le associazioni come Pangea lo sanno.
I numeri statistici disponibili provengono da un’indagine Istat sulla violenza del 2014: le donne vittime di violenza risultavano l’1,2% (contro lo 0,9% del 2006).
Circa il 2% delle intervistate dichiara di aver subito violenza economica ma questa percentuale potrebbe essere sottostimata per la suddetta mancanza di consapevolezza delle vittime. Colpa del clima familiare, di ciò che nonostante tutto viene ancora considerato affetto o sentimento, colpa degli stereotipi culturali difficili da abbattere. La donna non vede (o non vede subito) nel comportamento del marito o del partner un abuso ma un diritto sia quando lo stipendio lo guadagna lui sia quando la paga della vittima viene ‘amministrata’ dal compagno aguzzino.
Per il resto, i dati ISTAT pubblicati all’inizio di agosto 2019, riportano 7 milioni di donne dai 16 ai 70 anni vittime, almeno una volta nella vita, di una forma di violenza (20,2% violenza fisica, 21% violenza sessuale, di cui il 5,4% di casi di violenze sessuali gravi come stupro e tentato stupro). Non specifica una percentuale per la violenza economica.
L’agenzia europea Eurofound (2016) calcola che il costo complessivo per l’Italia della sottoutilizzazione del ‘capitale umano femminile’ corrisponda a 88 miliardi di euro, ovvero il 5,7% del Pil. In Europa, si perde circa il 23% della ricchezza per la discriminazione di genere.
La sudditanza economica è spesso alla radice della violenza fisica. Ogni 15 minuti, in Italia, si registra un episodio di stalking o maltrattamenti. Le donne vittime di femminicidio sono considerate proprietà dai loro aguzzini, vittime anche di violenza economica, incapaci di difendersi, che hanno perso autostima e identità, defraudate di ogni risorsa economica, private della propria indipendenza, costrette a vivere isolate, a vivere solo in funzione del compagno, manipolate e schiacciate da una cultura patriarcale, anche da padri/padroni. Ricatto economico che intrappola la donna e la rende impotente. L’aguzzino è capace anche di accusarla con frasi del tipo “stai zitta che sei soltanto una mantenuta“.
Parole dure, ingiuste, umilianti, inaccettabili.
ALTRI STUDI E DATI STATISTICI
Secondo i dati della Rete Nazionale per porre fine alla violenza domestica – NNEDV, il 78% delle vittime di violenza economica non ne è consapevole.
I dati Cadmi riportano che la percentuale delle donne che si rivolgono ai centri di aiuto per violenza economica sono soltanto il 18% rispetto al 68% per violenze fisiche o al 91% per violenze psicologiche.
I dati del Cnel, diffusi durante un convegno a maggio 2019 nell’ambito del Festival dello Sviluppo sostenibile promosso da AsviS, parlano di ‘donne invisibili‘ nella società italiana.
Una su due ha subito una forma di violenza economica, spesso per mancanza di un reddito autonomo, il 23% non ha un proprio conto corrente. Il 17% delle donne che lavorano non hanno un conto in banca.
Nel nostro Paese, l’occupazione femminile è al 49%: ciò significa che il restante 51% dipende da altri per vivere.
La differenza salariale varia dal 15% al 40% a seconda dei settori.
Nel 2016, il 78% delle dimissioni volontarie (14.000) sono state firmate dalle donne per difficoltà a conciliare lavoro e famiglia. Gli uomini, invece, si dimettono per un cambio di lavoro. Il 30% lascia il lavoro alla nascita del figlio: le donne che tentano di rientrare dopo la maternità spesso non ritrovano il posto che avevano lasciato e vanno incontro a demansionamento.
Nel 2017, il costo complessivo annuo della violenza sulle donne è stato di 17 miliardi di euro. Sono state coinvolte 6 milioni di donne per violenza fisica ed abuso economico (assenteismo, perdita di ore lavorate, danni economici alla famiglia ed ai figli, spese mediche e di socio assistenza).
GLOBAL THINKING FOUNDATION E L’EDUCAZIONE FINANZIARIA
Claudia Segre, presidente della Global Thinking Foundation, promuove l’Educazione Finanziaria tra le fasce più deboli organizzando corsi di alfabetizzazione finanziaria.
La Fondazione ha anche attivato in Italia un percorso di formazione gratuito sulla pianificazione familiare, finanziaria e imprenditoriale. L’attività si basa sulla collaborazione con fondazioni, centri antiviolenza e istituzioni.
“In un matrimonio (o in una convivenza) è fondamentale parlare di soldi, senza temere che certi discorsi intacchino i sentimenti” chiarisce subito Claudia Segre.
“Il più delle volte basta un gesto per tutelarsi. Se una donna lavora, per esempio, non deve mettere a disposizione della famiglia l’intero reddito, a meno che questa non sia una libera scelta. Chi sta a casa deve pretendere un conto cointestato, ma con firme disgiunte, oltre a Bancomat e carta di credito a proprio nome. E sarebbe bene pensare a una polizza pensionistica“.
Secondo il rapporto realizzato nell’ambito del progetto europeo WE GO (Women Economic Indipendence & Growth Opportunity), è proprio l’assenza di risorse economiche personali ad impedire alle donne vittime di situazioni di violenza domestica di provare ad uscirne.
Il 53% delle donne intervistate dichiara di aver subito violenza economica in varie forme:
– 22,6% per mancato accesso al reddito familiare;
– 19% per impossibilità di disporre dei propri soldi liberamente;
– 17,6% per il controllo delle spese da parte del partner;
– 16,9% per non conoscere neppure l’ammontare del reddito familiare;
– 10% per il permesso negato di lavorare.
I DATI DI GLOBAL THINKING FOUNDATION
Secondo la Global Thinking Foundation, nel 90% dei casi la violenza fisica è accompagnata dalla violenza economica, anzi è preceduta da questa come fosse una forma di silenzioso avvertimento. Molto spesso (2/3 dei casi), le donne non se ne rendono conto e non sono consapevoli di sottostare a regole non scritte ma secolari che vedono l’uomo di casa come tesoriere. Se ne rendono conto solo quando la situazione diventa grave.
Per interrompere la spirale abusiva serve consapevolezza.
Claudia Segre è parte attiva anche del gruppo Donne al Quadrato, la task force di donne che diffonde la cultura finanziaria all’universo femminile.
Global Thinking Foundation ha realizzato, in collaborazione con Cadmi (Casa di Accoglienza delle Donne Maltrattate di Milano) una Guida Contro la Violenza Economica. Si tratta di uno strumento di prevenzione; fornisce informazioni pratiche (come evitare il conto corrente cointestato con il coniuge) oltre a diffondere la consapevolezza su questo tipo di violenza subdola e sui diritti delle donne in ambito economico. Spiega come riconoscere la violenza economica e come sbarazzarsene.
GUIDA CONTRO LA VIOLENZA ECONOMICA: I 4 LIVELLI DI GRAVITÀ
In base alla Guida Contro la Violenza Economica, esiste una scala di gravità che individua il peso della pressione violenta sulla vittima.
E’ una scala a quattro livelli:
– 1° livello: la donna ha ancora dei soldi, ma è tutto fittizio. L’uomo le ‘concede’ di andare in banca per pratiche di poco conto; in realtà, è lui che si occupa del conto corrente congiunto, anche se con firme disgiunte;
– 2° livello: lei riceve da lui una specie di paghetta ma, per ogni spesa, lui impone la propria approvazione. Pretende rendiconti dettagliati delle spese, decide lui. La donna è esclusa da qualsiasi informazione sulla situazione finanziaria familiare;
– 3° livello: l’aguzzino dà alla vittima soldi per le spese quotidiane. Spesso, però, in misura insufficiente. Non le consente di fare la spesa, nega il denaro per medicine e cure;
– 4° livello: il maltrattante dilapida il capitale di famiglia o della moglie, imponendole magari di firmare mutui, prestiti o ipoteche. Lui può anche essere capace di svuotarle il conto corrente in previsione della separazione.
COSA NON FARE
La Guida contiene una serie di buone pratiche per evitare la dipendenza economica.
Ecco alcuni consigli utilissimi con cui si avvisa di NON:
– accettare di dover rendere conto di ogni spesa o essere private del bancomat;
– mettersi mai nella condizione di elemosinare la soddisfazione dei propri bisogni;
– firmare mai documenti se non prima di aver letto e compreso o assegni in bianco;
– sottoscrivere mai impegni con finanziarie o con amici;
– fare da prestanome;
– delegare mai completamente le attività finanziarie, bancarie, assicurative.
La relazione deve essere paritaria, basata sulla possibilità per la donna di essere correttamente informata e aggiornata sulla situazione economica familiare e dell’azienda familiare.
Una ricerca finanziata da Global Thinking Foundation ha rivelato che il 22% delle donne italiane non si occupa dei propri risparmi.
La donna deve essere informata sui temi fiscali recandosi, eventualmente, dal commercialista. Deve imparare a difendere tanto il corpo e la dignità quanto i suoi soldi e i suoi beni.
VIOLENZA DOMESTICA EQUIPARATA A MALTRATTAMENTI: IL VUOTO LEGISLATIVO
In ambito civile, tra gli strumenti di tutela rientrano gli ordini di protezione di cui agli artt. 342 bis e 342 ter c.c. introdotti dalla legge n.154 del 2001. Si tratta di misure cautelari civili volte a contrastare la prosecuzione di condotte violente all’interno della famiglia tramite l’allontanamento del soggetto abusante dalla casa familiare. Vengono applicati in caso di “grave pregiudizio all’integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell’altro convivente” per violenza fisica, psicologica ed economica.
A livello penale, non esiste una specifica norma sulla violenza economica, una forma di violenza citata per la prima volta nell’articolo 3 del decreto 93/2013 convertito dalla legge 119/2013.
Trattandosi di una forma di violenza domestica, in Italia l’abuso economico rientra nell’art. 572 del codice penale dedicato ai “maltrattamenti in famiglia“. Non sempre, però, viene riconosciuto.
E’ necessario un intervento normativo ad hoc, considerando la complessità e la frequenza del fenomeno.
Questo vuoto legislativo contrasta con la Convenzione di Istanbul che all’art. 3 definisce la violenza domestica come “tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima“.
La Convenzione di Istanbul obbliga gli Stati firmatari ad adottare misure legislative e non, idonee a prevenire e contrastare le condotte dei responsabili e risarcire le vittime per le violenze subite.
La Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne ha, finalmente, riconosciuto questa forma di sopraffazione.
L’Italia che aspetta?