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VITTIMIZZAZIONE SECONDARIA E PREGIUDIZI SULLE DONNE: LA CEDU CONDANNA L’ITALIA
E’ l’ennesima vicenda di vittimizzazione secondaria e pregiudizi sulle donne che subiscono violenza. Stavolta, però, una ragazza vittima di stupro di gruppo si è rivolta alla CEDU (Corte Europea dei diritti dell’uomo – e delle donne) per denunciare una sentenza deplorevole.
La Corte Europea ha condannato l’Italia per pregiudizi sulle donne e vittimizzazione secondaria e dovrà risarcire la vittima per danno morale con 12.000 euro.
La Corte di Strasburgo, con decisione unanime di 6 giudici, ha accusato la giustizia italiana di violazione della vita privata e dei diritti della vittima.
“E’ essenziale che le autorità giudiziarie evitino di riprodurre stereotipi sessisti nelle loro decisioni, di minimizzare le violenze di genere esponendo le donne ad una vittimizzazione secondaria con parole moralizzatrici e colpevolizzanti“.
I giudici devono essere adeguatamente formati nel nostro Paese.
Conosciamo più da vicino la storia della vittima, una ragazza coraggiosa e determinata.
VITTIMIZZAZIONE SECONDARIA E PREGIUDIZI SULLE DONNE: IL CASO DENUNCIATO ALLA CORTE EUROPEA
A luglio del 2008, una ragazza di 22 anni denunciò di essere stata stuprata in un parcheggio da un gruppo di 7 uomini fuori dalla Fortezza da Basso.
Al termine delle indagini furono arrestati 7 ragazzi tra i 20 e i 30 anni che restarono in cella per un mese ed altri due mesi ai domiciliari.
Il Comune di Firenze si costituì parte civile nel processo di primo grado che si concluse nel 2013 con un’assoluzione e 6 condanne a 4 anni e 6 mesi di reclusione per violenza sessuale di gruppo aggravata dal fatto che la ragazza aveva bevuto. L’aggravante consiste nel fatto che gli uomini hanno approfittato delle sue condizioni di inferiorità psicofisiche a causa degli effetti dell’alcol.
Due anni dopo, nel 2015, la Corte d’Appello ribaltò la sentenza. I 6 imputati accusati dello ‘stupro della Fortezza da Basso’ furono tutti assolti. Il fatto non sussisteva.
Nella sentenza, la Corte di Appello definì la vicenda ‘incresciosa’, ‘non encomiabile per nessuno’, ma ‘penalmente non censurabile’. Con la sua denuncia, secondo i magistrati, la ragazza voleva ‘rimuovere’ ciò che considerava un suo ‘discutibile momento di debolezza e fragilità’, ma ‘l’iniziativa di gruppo’ non fu da lei ‘ostacolata’.
La donna fu considerata non credibile, i giudici sottolinearono alcune contraddizioni nella sua versione dei fatti riferendosi alle sue abitudini sessuali, alla sua vita privata. Evidenziarono i rapporti precedenti tra la donna e uno degli imputati, come era vestita, le sue attività artistiche e interessi culturali.
LO SFOGO DELLA VITTIMA SUI SOCIAL DOPO L’ASSOLUZIONE DEI SUOI AGGRESSORI
A seguito del verdetto definitivo della Corte d’Appello con l’assoluzione dei suoi aggressori, la 23enne si è sfogata sui social network firmandosi “La ragazza della Fortezza da Basso“.
Riportiamo le sue dichiarazioni amare:
“Per essere creduta e credibile come vittima di stupro non bastano referti medici, psichiatrici, mille testimonianze oltre alla tua, le prove del Dna. Conta solo il numero di persone con cui sei andata a letto prima che succedesse, che tipo di biancheria porti, se usi i tacchi, se hai mai baciato una ragazza, se giri film o fai teatro, se non sei un tipo casa e chiesa e non ti penti di scendere in piazza e lottare per i tuoi diritti. Se non sei una donna non conforme non puoi essere creduta. Abbiamo perso tutti. Ha perso la civiltà”.
Nella sua lettera pubblicata sui social sosteneva (a ragione) che ad essere giudicata era stata lei, non il fatto che aveva denunciato.
COSA CONTESTA LA CORTE DI STRASBURGO AI GIUDICI ITALIANI
La Corte di Strasburgo non si è espressa sul merito della sentenza (assoluzione degli imputati) ma sul suo contenuto riferito alla vita privata e alle abitudini sessuali della donna.
Di questa sentenza i giudici di Strasburgo contestano passaggi che non hanno rispettato la vita intima e privata della vittima, la sua integrità personale, i commenti ingiustificati, il linguaggio e le argomentazioni (utilizzati per rovesciare la sentenza in sede di appello) che esprimono pregiudizi sulle donne caratteristici della società italiana.
La donna non è stata protetta dalla vittimizzazione secondaria (il meccanismo del trasferire parte della responsabilità della violenza alla vittima).
Nella sentenza si è alluso alla bisessualità della ragazza, alle sue relazioni precedenti, un fatto ingiustificato secondo la Corte Europea. Il commento da parte della Corte di Appello fiorentina sulla vita ‘non lineare’ della donna è stato definito deplorevole e irrilevante dalla CEDU.
La Corte europea ha condannato anche un altro aspetto: il tribunale di Firenze ha giudicato la scelta della donna di denunciare. L’ha collegata all’intenzione di stigmatizzare un suo “momento di fragilità e debolezza“.
I giudici l’hanno definita disinibita, creativa, in grado di gestire la propria (bi)sessualità e di avere rapporti occasionali. Insomma, per loro, se l’è andata a cercare.
Il contenuto della sentenza viola l’art. 8 della Convenzione europea dei diritti umani che contempla il diritto al rispetto della vita privata.
La Corte di Strasburgo ha rimarcato l’obbligo di proteggere le presunte vittime di violenza di genere, incluse la loro immagine, vita privata e dignità, non divulgando informazioni personali e dati estranei ai fatti.
Le autorità giudiziarie italiane devono evitare di riprodurre stereotipi sessisti nelle decisioni del tribunale, senza minimizzare la violenza di genere esponendo le vittime a vittimizzazione secondaria. E’ necessario evitare commenti e giudizi che inducono le donne ai sensi di colpa e che possono spingerle a perdere fiducia nel sistema giudiziario.
VITTIMIZZAZIONE SECONDARIA E PREGIUDIZI SULLE DONNE: LA CONDANNA DELLA CEDU ALL’ITALIA
Per le suddette ragioni e contestazioni, la Corte europea ha condannato l’Italia a risarcire la vittima per danni morali di 12mila euro, oltre al pagamento di 1.600 euro di spese.
La donna che si è rivolta alla Corte di Strasburgo, difesa dall’avvocato Titti Carrano, non ha chiesto ai giudici europei di esprimersi sul fatto che gli imputati siano stati assolti bensì sul contenuto della sentenza. Su quei punti che l’hanno discriminata. Ha vinto la sua battaglia.
La Corte non ha il potere di ribaltare la sentenza, peraltro definitiva, che resta di assoluzione piena.
La presidente dell’Associazione D.i.Re Antonella Veltri definisce importantissima la sentenza della Corte europea perché stigmatizza la delegittimazione delle vittime di violenza sessuale. Vittime che, ancora oggi, in Italia vengono considerate corresponsabili delle violenze subite in relazione a valutazioni legate alla loro vita privata. Queste valutazioni vengono usate per motivare sentenze favorevoli agli autori di violenza anche se tutto ciò è vietato da norme nazionali e internazionali.
Non dimentichiamo, come ha sottolineato la Corte europea, che i procedimenti penali hanno un ruolo centrale nella lotta alla violenza contro le donne e alle diseguaglianze di genere.
Titti Carrano auspica che il governo italiano accetti questa condanna senza ricorrere alla Grande Camera e che s’impegni concretamente per le attività di prevenzione e formazione degli operatori di giustizia onde evitare altri episodi di vittimizzazione secondaria nei processi civili e penali.