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8 MARZO 2021: FESTA DELLE DONNE TRA FEMMINICIDI, DIRITTI NEGATI E LAVORO PERSO
L’8 marzo 2021, Giornata Internazionale della Donna, si è svolta senza cortei. Sono scese in piazza in varie città italiane (Torino, Roma, Bologna, Savona, Catania, Milano, Cosenza, Brescia) le femministe di “Non una di meno” per ricordare di non abbassare la guardia. Una lotta inarrestabile più che una festa, quella delle donne che si mobilitano contro la violenza di genere e i ruoli imposti dalla società. Lo sciopero promosso da Non Una di Meno ha avuto come simbolo la zona fucsia. Tanti gli eventi organizzati online e sui social network.
In occasione della Giornata Internazionale delle donne, Amnesty International Italia ha rilanciato la campagna #Iolochiedo rinnovando l’appello alla ministra della Giustizia a cui chiede che la legislazione italiana si adegui alle norme internazionali, stipulate con la Convenzione di Istanbul del 2011. Chiede di modificare l’art. 609-bis c.p. considerando reato qualsiasi atto sessuale senza consenso.
Insieme al bollettino Covid diffuso periodicamente dai media, l’8 marzo 2021 ha riportato un altro bollettino, che da sempre pesa sulla società: i dati sul femminicidio.
Quest’anno, la Festa delle Donne si è svolta a distanza, tra auguri e speranze via social ed interventi in webinair come tutto, del resto, in tempi di Covid.
8 MARZO 2021: L’INTERVENTO DI SERGIO MATTARELLA E MARIO DRAGHI
Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha aperto il suo intervento per l’8 marzo leggendo i nomi delle 12 donne uccise dall’inizio di quest’anno.
Un record nero, un fenomeno impressionante, una piaga sociale che non dà tregua.
Mattarella ha elencato i nomi di tutte le donne vittime di femminicidio in soli 2 mesi: Sharon, Victoria, Roberta, Teodora, Sonia, Piera, Luljeta, Lidia, Clara, Deborah, Rossella, Ilenia.
Insieme al femminicidio, a violenze e abusi intollerabili, esistono forme meno brutali ma non per questo meno insidiose come la violenza economica. Un tipo di violenza che esclude le donne dal controllo e dalla gestione del patrimonio comune e che le obbliga ad abbandonare il lavoro per gravidanze o problemi familiari.
Stereotipi, pregiudizi ottusi e selvaggi determinano atteggiamenti e comportamenti inaccettabili. Compromettere l’autonomia, l’autodeterminazione, la realizzazione di una donna è mancanza di rispetto verso il genere umano. Il rispetto s’impara o si dovrebbe apprendere fin da piccoli: sui banchi di scuola, in famiglia, nei luoghi di lavoro, ovunque.
Il Capo di Stato Sergio Mattarella, nel suo intervento, ha commentato così il femminicidio: “Un concetto distorto del rapporto affettivo che si trasforma in odio mortale è alla base dei casi di femminicidio”. Possesso, bramosia, dominio e disprezzo. “Gli orribili casi che reclamano giustizia ci dicono che la legge da sola non basta. Un principio va affermato ma anche difeso, promosso e attuato concretamente“.
L’8 marzo 2021 il Presidente del Consiglio Mario Draghi ha inviato un videomessaggio alla Conferenza “Verso una Strategia Nazionale sulla parità di genere” promossa dalla ministra per le Pari Opportunità e la Famiglia, Elena Bonetti.
Draghi ha ammesso: “Abbiamo molto, moltissimo da fare per portare il livello e la qualità della parità di genere alle medie europee. La mobilitazione delle energie femminili sono essenziali per la costruzione del futuro della nostra nazione“. Nell’ambito del programma NextGeneration EU, per il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è previsto anche il contributo alla parità di genere.
L’EFFETTO TRAPPOLA DEL LOCKDOWN PER LE DONNE
Sottopagate, sottostimate, disoccupate, stressate, più povere ma non solo. Più maltrattate, in convivenza forzata e chiuse in casa in balia dei loro aguzzini, uccise.
Questo è stato ed è tuttora l’effetto trappola del lockdown e delle restrizioni dovute alla pandemia per le donne. Problemi economici e psicologici per la crisi economica hanno accentuato vecchie violenze domestiche e fatto nascere nuovi maltrattamenti in famiglia.
Risultato: femminicidi-suicidi saliti del 90%, richieste d’aiuto aumentate del 73% al numero 1522 ed ai centri antiviolenza.
8 MARZO 2021, FESTA DELLE DONNE: LA DENUNCIA DI DI.RE
Tra tanti buoni propositi annunciati l’8 marzo 2021, arriva la denuncia di Di.Re (Donne in rete contro la violenza).
I fondi stanziati dallo Stato ancora non arrivano ai centri antiviolenza ed alle case rifugio. O, meglio, soltanto il 13% dei finanziamenti per far fronte all’emergenza sanitaria (di un contributo complessivo di 5,5 milioni di euro) sono stati effettivamente liquidati.
La riorganizzazione dei centri antiviolenza e case rifugio a causa della pandemia si è tradotta in un aggravio di costi. I centri antiviolenza si sono ritrovati a gestire un’emergenza nell’emergenza.
DONNE PIÙ PENALIZZATE DALLA CRISI PANDEMICA
In tempi di Covid, le donne hanno pagato più degli uomini la perdita del lavoro: l’emergenza sanitaria ha fatto crollare il lavoro femminile di oltre il 70% nell’ultimo anno. Tutto questo non fa che peggiorare il fenomeno della violenza economica. A causa degli effetti della pandemia preoccupa sia la quantità sia la qualità del lavoro femminile.
Nel 2020, 99mila donne (contro 2mila uomini) hanno perso il posto di lavoro e 4mila imprese guidate da donne sono andate in fumo (secondo i dati dell’Ufficio Studi Confesercenti).
Le donne sono impiegate in settori tra i più colpiti dalla crisi (servizi), con contratti part-time, poco sicuri. In Italia, il part-time delle donne è involontario in oltre il 60% dei casi.
La crisi economica e occupazionale colpisce soprattutto loro, le donne. Lo confermano i dati ISTAT ma non solo: anche studi, ricerche, indagini internazionali. Quando non perdono il lavoro, le donne continuano a percepire meno rispetto agli uomini.
L’Italia resta uno dei Paesi europei con il più accentuato gender pay gap (differenza salariale tra uomini e donne). L’ha sottolineato anche il neo presidente del Consiglio Mario Draghi.
Una donna su due si ritrova più povera in tempi di Covid, secondo l’indagine Ipsos per We World. Con l’emergenza sanitaria si sono ritrovate, di colpo, più vincolate al partner ed alla cura della famiglia, dei bambini (per la didattica a distanza) e dei genitori anziani con carichi di lavoro raddoppiati.
IN ITALIA, GENDER PAY GAP TRA I PIÙ ALTI IN EUROPA
Oltre alla solita scarsa presenza di donne in posizioni manageriali rilevanti, c’è da risolvere lo squilibrio del gap salariale, bisogna garantire parità di condizioni competitive tra uomini e donne superando la scelta tra famiglia e lavoro.
In Italia, il 75% degli oneri familiari è a carico delle donne. Ricoprono funzioni aziendali meno retribuite, gli orari sono spesso ridotti, il divario salariale (ad orario) è presente in ogni ruolo o livello professionale. In media, le donne continuano a guadagnare il 15-20% in meno degli uomini. Anzi, più la qualifica professionale è elevata, più il divario aumenta.
La strategia dell’UE per la parità di genere 2020-2025 intende risolvere le cause di questo gap salariale: minor partecipazione femminile al mercato del lavoro, contratti più fragili, mancanza di tutele, il tutto basato su stereotipi e discriminazione di genere. L’obiettivo è adottare misure vincolanti in termini di trasparenza salariale per avere dati utili a quantificare l’elemento discriminatorio del gender pay gap.
Circa 17 miliardi dei 209 del Next Generation Ue destinati all’Italia sono indirizzati all’inclusione e coesione sociale. Fra questi, 4,2 miliardi saranno destinati alla parità di genere.
Basteranno per cambiare la situazione in Italia?
O di questo passo ci vorranno, secondo la stima del Global Gender Gap Report 2020, 257 anni per colmare la disparità retributiva tra uomini e donne?