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Ddl Pillon: il disegno di legge che ‘dimentica’ la violenza domestica
Da questa estate, il Ddl Pillon (n. 735/2018 in discussione al Parlamento) è al centro di un’agguerrita polemica per le sue proposte di stampo patriarcale che rischierebbero di far tornare indietro l’Italia di almeno 60-70 anni. C’è chi ha titolato la notizia con “Quando lo Stato fa rima con patriarcato” e la rima ci sta tutta.
Questo disegno di legge minaccia i diritti delle donne, anzi li cancella, e non considera minimamente le tante famiglie con padri/padroni e mariti violenti. Sembra non considerare affatto che ci sono, al contrario, leggi da rivedere in tema di violenza domestica, stupro, stalking, molestie.
Chi, durante i Family Day del 2015 e 2016, gridava “difendiamo i nostri figli!” e “giù le mani dai bambini!” ha eletto il senatore Simone Pillon della Lega nonché avvocato cassazionista esperto in diritto penale e di famiglia. Lo stesso che ora propone un ddl che vorrebbe imporre una visione assolutamente maschilista del matrimonio, della genitorialità, del rapporto tra uomo e donna.
Pillon è contrario all’aborto (vuole impedirlo) e al divorzio che intende sostituire con il ‘convenant marriage’ americano, una sorta di matrimonio indissolubile. Non tiene conto delle tante donne soggette a mariti violenti che, al contrario, devono denunciare e da cui è giusto che si separino.
Primi fra tutti, la rete DiRe, i centri antiviolenza, le associazioni femministe, avvocati e psicologi sono allarmati e infuriati.
Il Ddl Pillon minaccia i diritti delle madri e dei figli
Pillon, usando indubbie espressioni come “bigenitorialità”, “uguaglianza” e “corresponsabilità genitoriale” nonché “miglior interesse del figlio”, nei 24 articoli del disegno di legge da lui proposto avanza modifiche che celano, in realtà, vere e proprie insidie per i diritti delle madri e dei bambini.
L’obiettivo del Ddl Pillon è modificare la legge sull’affido condiviso (del 2006) inserendo quattro principali proposte:
– Mediazione civile d’obbligo in tutte le separazioni o divorzi che coinvolgono figli minorenni;
– Affido condiviso con tempi paritari, doppia residenza o domicilio dei figli;
– Abolizione dell’assegno di mantenimento al coniuge che verrebbe rimpiazzato dal mantenimento in forma diretta;
– Contrasto all’alienazione parentale, la Pas contro cui tutti i centri antiviolenza si battono da diverso tempo.
Separazione o divorzio con figli minori: mediazione civile d’obbligo
Riguardo al primo punto è facile chiedersi: “Perché?”.
Perché la mediazione civile è imposta anche quando non è necessaria?
Secondo il disegno di legge Pillon, tutte le coppie che intendono separarsi o divorziare dovrebbero essere commissariate dallo Stato con l’obbligo di una figura professionale mediatrice. Lo stesso senatore Pillon, esperto in diritto di famiglia, è un mediatore familiare: dal 2013, è direttore del Consultorio familiare “La Dimora” (Perugia).
Il Ddl da lui proposto fa gli interessi di donne e figli minori o l’interesse economico del mediatore? Questo sospetto, che sia lecito o meno, viene comunque azzerato da un ‘piccolo dettaglio’: la mediazione familiare è vietata dalla Convenzione di Istanbul, che è stata ratificata dall’Italia nel 2013.
Probabilmente, Pillon ‘dimentica’ che la violenza domestica è violenza di genere, non un conflitto tra coniugi risolvibile con una mediazione.
Donne vittime di violenza dovrebbero mediare con il proprio carnefice? Assurdo.
I punti del Dld Pillon che scoraggiano le donne dal separarsi
Pillon definisce fallimentare in Italia l’attuale legge sull’affido condiviso rispetto ad altri Paesi come Svezia, Belgio e Quebec. In questi Paesi, ha più successo rispetto al nostro per motivi evidenti: sono caratterizzati da un livello di parità di genere maggiore, tassi di disoccupazione (soprattutto femminile) inferiori ed efficaci politiche di welfare a sostegno della genitorialità.
In Italia, la disparità fra i sessi è molto alta; per disoccupazione femminile siamo penultimi in Europa (prima della Grecia). A questo si aggiungano i costi elevati degli asili nido, il fatto che la cura della casa, dei figli e dei parenti anziani ricade sulle spalle delle donne quasi del tutto. Riuscire a conciliare impegni familiari e lavorativi diventa per le donne sempre più pesante.
Insieme all’abolizione dell’assegno di mantenimento al coniuge (sostituito dal mantenimento diretto), questo è l’ulteriore punto del Ddl Pillon che ha come obiettivo scoraggiare le donne (più deboli economicamente) dal chiedere la separazione. Senza contare la mediazione familiare obbligatoria: tolto il primo incontro gratuito, è a pagamento e prevede un percorso che può durare fino a 6 mesi.
E’ previsto anche l’obbligo per il coniuge cui è assegnata la casa coniugale di corrispondere un canone d’affitto all’altro coniuge. Tutto questo rende difficile in termini economici decidere per la separazione o il divorzio.
Pas: l’alienazione parentale non è riconosciuta né dalla scienza né dalla legge
L’alienazione parentale, tuttora non provata scientificamente, è un termine coniato nel 1985 da Richard Gardner per riconoscere una sorta di disturbo mentale.
Secondo il medico statunitense, la Pas sarebbe frutto di una programmazione dei figli da parte di un genitore patologico (alienante), una specie di lavaggio del cervello che spinge i figli di coppie in fase di separazione o divorzio a perdere il contatto con la realtà degli affetti manifestando odio e disprezzo ‘ingiustificato’ e costante verso l’altro genitore (alienato).
Il genitore alienante userebbe varie tecniche di ‘programmazione’: false accuse di violenza, abuso sessuale o trascuratezza nei confronti del figlio, frasi diffamanti riferite all’altro genitore per generare nei figli profondi sentimenti di paura, diffidenza e odio nei confronti del genitore alienato. In questo modo, attirerebbe le attenzioni del figlio su di sé.
Il Ddl Pillon vorrebbe riconoscere la Pas?
Il Ddl Pillon vuole contrastare l’alienazione parentale (o genitoriale) ma la Pas non è riconosciuta né dal Ministero della Salute né dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità). Eppure il decreto legge stabilisce agli artt. 17 e 18 che, se il figlio rifiuta il rapporto con uno dei genitori, il giudice può (anche in assenza di evidenti condotte dell’altro genitore) limitarne o addirittura sospenderne la responsabilità genitoriale. Tanto da collocare provvisoriamente il minore in una casa-famiglia finché i servizi sociali non propongano un piano per recuperare la bigenitorialità.
Dubitare dell’altro genitore senza verificare, considerandolo responsabile a priori del rifiuto del figlio è assurdo. Costringere il figlio a recuperare il rapporto con i genitori tramite mediazione del giudice è ancora più ingiusto e folle. Se il figlio rifiutasse per questioni di abusi, l’obbligo di mediazione porterebbe i bambini vittime di violenza domestica a chiudersi nel silenzio.
In due parole, questo Ddl, oltre a riconoscere l’alienazione parentale, rende automaticamente colpevole di alienazione anche un genitore che non apre bocca, non appena il bambino dimostra di aver paura dell’altro: dovrà risarcire il danno e perderà la responsabilità genitoriale.
Teoricamente, anche una donna vittima di violenza domestica non solo esiterà a denunciare il sex offender ma rischierebbe di essere punita per ‘false accuse’, basate sul niente, sulla Pas, una sindrome non riconosciuta scientificamente e legalmente.
Uno strumento legislativo per cancellare decenni di lotta per i diritti delle donne
I centri antiviolenza e le case rifugio, in Italia, le associazioni (prime fra tutte Di-Re – Donne in rete contro la violenza) e non solo si preparano a fronteggiare il Ddl Pillon affinché venga ritirato.
Ad osteggiare questo disegno di legge, che compromette i diritti civili conquistati negli ultimi 60-70 anni e la cui discussione in Senato prevede tempi lunghi (sarà oggetto di 27 audizioni), sono anche il Cismai, l’Aiaf, l’Unione Nazionale Camere Minorili, l’Anamef, Acli, Movimento per l’Infanzia, Cnca, Forum Famiglie.
La Rete dei centri antiviolenza di DiRe ha lanciato una petizione che ha raggiunto le 75.000 firme.
E’ stata organizzata a Roma per Il 10 novembre prossimo una manifestazione per bloccare il Ddl Pillon.
Condizioni economiche svantaggiose, figli trattati come valigie. Chi tutela le donne maltrattate, vittime di violenza anche psicologica? La donna che subisce violenza ed i suoi figli che subiscono indirettamente questa violenza non hanno bisogno di mediazione civile. Hanno bisogno di tutto fuorché di ostacoli, economici e burocratici.
Con una legge del genere nessuna donna denuncerebbe più la violenza e verrebbero compromessi il diritto alla salute ed all’integrità psicofisica del bambino.
Il Ddl Pillon è, oltretutto, in contrasto con la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (Convenzione di Istanbul, ratificata dall’Italia nel 2013).
Rappresenta, a tutti gli effetti, un modo per dissuadere le coppie a divorziare o separarsi: lo stesso Pillon l’ha ammesso durante un’intervista rilasciata a La Stampa.
L’obiettivo è ripristinare il diritto di famiglia italiano anni ’50 di stampo patriarcale (favorendo i padri/padroni) cancellando i diritti conquistati dalle donne dagli anni Settanta in poi.
Il divorzio e la separazione non si toccano, soprattutto per le donne vittime di violenza domestica.
Francesco Ciano