
In questo articolo:
MODALITÀ OPERATIVA ANTIVIOLENZA DELLA POLIZIA DI STATO
PROTOCOLLO EVA
Dal mese di gennaio 2017, su impulso della Direzione centrale anticrimine, è stato adottato in tutta Italia il protocollo EVA, nome che ricorda la prima donna secondo la Bibbia e che, in realtà, è l’acronimo di Esame Violenze Agite.
Il progetto, nato dalla collaborazione con il Dipartimento di psicologia dell’Università degli studi della Campania “Luigi Vanvitelli”, è stato messo a punto tre anni prima, nel 2014, da Maria Josè Falcicchia, attuale dirigente dell’UPG (Ufficio prevenzione generale) della Questura di Milano. Da Milano è stato, poi, ‘esportato’ in tutte le questure italiane.
Si tratta di una modalità operativa di primo intervento per la violenza di genere (maltrattamenti in famiglia, stalking, abusi, liti familiari, ecc.) che, in un anno, ha permesso di gestire ed analizzare oltre 5.000 segnalazioni.
Il progetto è stato ufficialmente presentato a Torino il 6 marzo 2017 dal Capo della Polizia, Prefetto Dr. Franco Gabrielli con questo concetto: “Il Protocollo EVA permette un approccio significativo e intelligente a un tema così delicato, a partire dall’utilizzo della nostra banca dati. I reati di violenza di genere presentano difficoltà di approccio. Ma la polizia che vogliamo è al servizio delle persone deboli, in difficoltà, degli emarginati. È la polizia di prossimità”.
Protocollo EVA in aiuto delle donne vittime che hanno paura di denunciare
Si è, ormai, compreso che la donna va protetta e che l’approccio pacificatore non solo non funziona ma è pericoloso. Il protocollo EVA ne è la dimostrazione più attiva, in Italia.
La modalità operativa si basa su un’idea precisa: la vittima è, il più delle volte, la donna, protagonista passiva di una violenza domestica subita da un marito, convivente, figlio, una persona a cui è affettivamente legata. Il dramma, oltre alla violenza fisica e psicologica, è la difficoltà di una donna a denunciare “il padre dei miei figli”, se non addirittura un figlio. Sì perché, se di solito la vittima è una donna, non mancano casi di maltrattamento di un padre o di una madre da parte dei propri figli.
La vittima è combattuta, si chiude nel silenzio, ha paura di raccontare tutto, di chiamare la Polizia. Il protocollo EVA l’aiuta a parlare, a reagire per intervenire al meglio.
Protocollo EVA: raccolta di tracce e banca dati
La vera novità di questa modalità operativa ben strutturata della Polizia di Stato è la possibilità di raccogliere tracce, fondamentali per ricostruire un precedente o un’intera storia di maltrattamenti e abusi.
I due strumenti essenziali di cui dispone la Polizia sono:
- l’arresto obbligatorio in flagranza per i reati di maltrattamento e atti persecutori. Se non ci sono i presupposti per l’arresto, si può procedere con l’allontanamento d’urgenza (immediato) in caso di minacce e lesioni gravi (i cosiddetti ‘reati spia’). Il responsabile della violenza viene allontanato dalla vittima e dai luoghi da lei frequentati (casa, posto di lavoro);
- raccolta di tracce attraverso una processing card con cui gli operatori delle volanti memorizzano tutto ciò che hanno fatto e visto nei minimi dettagli. Il protocollo consente di inserire nella banca dati delle forze di Polizia (SDI) una raccolta di informazioni preziosa in caso di successive aggressioni che consentono l’arresto indipendentemente dalla denuncia della vittima.
La processing card è una scheda che i poliziotti devono compilare ed inserire negli archivi informatici di Polizia tutte le volte che intervengono a seguito di una segnalazione. Da questa banca dati, la Sala Operativa può estrapolare informazioni essenziali quando invia una volante sul posto (tra cui, l’eventuale presenza di armi censite all’interno dell’abitazione o precedenti) per tutelare sia la vittima sia gli operatori.
Schedare ogni caso con la processing card
I poliziotti che intervengono annotano ogni minimo particolare, in caso di lesioni richiedono l’intervento di personale sanitario, raccolgono informazioni anche dai vicini di casa.
Ogni caso viene schedato, anche quelli che non sfociano in una denuncia.
L’obiettivo è lasciare traccia, creare una memoria storica per meglio monitorare il fenomeno, caso per caso, e scegliere la strategia di contrasto più adeguata (arresto in flagranza di reato, misure cautelari).
I poliziotti vengono adeguatamente formati per acquisire non solo la gestione operativa ma la sensibilità utile per intervenire sul dolore delle vittime, il dramma vissuto talvolta dai bambini, e conquistare la loro fiducia.
Anche gli operatori telefonici del 112 devono essere molto sensibili, abili nel capire il livello di gravità di ogni singolo caso quando la vittima (o un vicino di casa) chiama per chiedere aiuto. Devono tranquillizzare chi chiama, raccogliere informazioni e trattenerlo in linea fino all’arrivo della volante.
La presenza costante della Polizia
L’estate scorsa, il protocollo EVA è stato potenziato con l’introduzione di una speciale lista contenente i numeri di cellulare di vittime o ex vittime di stalking e violenza. Un sistema ancora in fase di sperimentazione che scatta in situazioni gravi: grazie alla tecnologia, consente di inserire un allarme in rapporto al numero telefonico di una persona che è già stata vittima di abusi e maltrattamenti. Quando il numero inserito nella ‘lista speciale’ invia una chiamata alla Polizia, entra in un canale di priorità assoluta.
I poliziotti che operano nell’ambito del protocollo antiviolenza continuano ad essere presenti anche dopo la denuncia, nel periodo più delicato, quello del ‘lui lo sa e potrebbe incattivirsi ancora di più’. Da una parte, esortano la vittima a chiamare in caso di ulteriori episodi di violenza, dall’altra, informano l’autorità giudiziaria sulla maggiore esposizione della vittima. Comunicano alla vittima tutte le informazioni utili per mettersi in contatto con i centri antiviolenza allo scopo di proteggersi il più possibile.
Vengono catalogati anche i reati minimi (ingiurie, minacce, molestie), considerati a tutti gli effetti precedenti per far scattare (in caso di ulteriori episodi) un arresto o allontanamento d’urgenza da casa.
Il protocollo Eva si occupa di anticipare/limitare esplosioni di violenza, si occupa del ‘dopo’ per estendere e prolungare la tutela delle vittime. I penitenziari segnalano le scarcerazioni dei detenuti per violenza di genere: la vittima viene avvertita e, parallelamente, si attiva una rete di vigilanza sul territorio (anche in mancanza di provvedimento della magistratura). In questa rete di vigilanza rientrano anche casi non sfociati in arresto, considerati ad alto rischio.
L’efficacia del protocollo EVA: i dati 2017-2018 a Milano
Nel 2017, soltanto a Milano, sono stati registrati oltre 4.300 interventi con 92 arresti per reati di maltrattamento e atti persecutori. Nella prima parte del 2018, gli interventi sono stati oltre 2.000 con 45 arresti.
Il numero di vittime che denunciano è salito rispetto al passato (insieme alla diffusione di aggressività familiare): queste vittime, oggi, possono chiedere aiuto ad operatori più qualificati e preparati ad affrontare il fenomeno della violenza.
Con l’introduzione del protocollo EVA è stato fatto un grande passo in avanti nel contrasto della violenza di genere e domestica. Se applicato a dovere, con il giusto supporto dell’autorità giudiziaria, può realmente consentire di ridurre l’escalation di violenza che, spesso, si conclude con il femminicidio.
“In certi casi un arresto, allontanamento o periodo di detenzione bastano per disinnescare l’ossessione violenta – spiega Maria Josè Falcicchia, dirigente dell’UPG (Questura di Milano) – In altre situazioni, ciò non accade. E’ questo il vero tema al centro delle nuove strategie di prevenzione”.
Dall’introduzione del protocollo EVA, la Polizia di Stato ha dimostrato un impegno lodevole.
In termini di violenza contro le donne, le lacune che bisogna colmare riguardano gli interventi strutturali (non più emergenziali), un maggiore sostegno e finanziamenti ai centri antiviolenza, un’attività di rete che coinvolga più soggetti. Non ultimo, un radicale cambiamento culturale.
Come ha già evidenziato il Capo della Polizia e Prefetto di Torino Franco Gabrielli “la violenza di genere affonda radici nella cultura del nostro Paese, dove troppo spesso vige la regola dei vizi privati e delle pubbliche virtù”.
Vi lasciamo al video ufficiale del protocollo EVA diffuso dalla Polizia di Stato con gli operatori al lavoro
https://www.youtube.com/watch?v=uNanAiZt350