
In questo articolo:
VIOLENZA IN RETE CONTRO LE GIORNALISTE: LO STUDIO UNESCO
In tempi di pandemia, gli attacchi di genere online sono cresciuti ed hanno preso prepotentemente di mira le giornaliste, molto più dei colleghi uomini. Non è solo la libertà di stampa ad essere in pericolo: ci troviamo di fronte a gravi attacchi di genere, odio misogino, aggressioni e minacce sul web a professioniste dell’informazione di tutto il mondo. La violenza in rete contro le giornaliste è al centro di un recente studio Unesco intitolato “The Chilling: Global Trends in Online Violence Against Women Journalists”. Si basa su un sondaggio unico nel suo genere di 901 giornalisti in 125 Paesi, lunghe interviste con 173 giornaliste, un team di 23 ricercatori internazionali ed esperti.
I dati che emergono da questo studio interdisciplinare condotto dall’ICFJ (International Center for Journalists) commissionato dall’Unesco sono allarmanti.
Il fenomeno globale delle giornaliste sotto attacco sulla rete è aumentato in modo esponenziale nel corso degli anni. Nel 2014, i dati Unesco riportavano un 23% di giornaliste vittime di messaggi intimidatori e di insulti online legati alla propria attività. A dicembre 2020, la percentuale è balzata al 73%.
Un terzo delle donne giornaliste intervistate è vittima di violenza in rete, ha subito abusi online, mentre un quarto ha ricevuto minacce fisiche. Le due cose sono collegate: la violenza online è strettamente collegata a quella offline contro le donne giornaliste.
Nel Report Unesco si legge: “Non c’è nulla di virtuale nella violenza in rete“.
Scopriamo quali sono le realtà e i dati emersi da questo studio.
VIOLENZA IN RETE CONTRO LE GIORNALISTE: I DATI EMERSI DALLO STUDIO UNESCO
Il mondo digitale non ha fatto che esasperare un fenomeno già esistente, prima ancora del web. Un fenomeno che oggi si chiama online harassment (molestia online) e che vede come bersagli più esposti all’odio e alle molestie sul web le professioniste dell’informazione.
La violenza in rete si manifesta in vari modi:
– minacce di stupro e violenza fisica;
– minacce di rapimento e di morte;
– molestie attraverso messaggi privati;
– pubblicazione online di informazioni personali (come indirizzo) senza consenso (doxxing);
– attacchi coordinati da grandi gruppi;
– accuse di usare il sesso per svolgere il proprio lavoro;
– hackeraggio;
– trolling;
– sorveglianza;
– tentativi di estorsione di denaro o beni, minacce finanziarie;
– spoofing, attacco informatico che utilizza in vari modi la falsificazione dell’identità;
– pubblicazione di materiale esplicito realizzato tramite deepfake;
– minacce (dirette o indirette) ai partner ed ai figli delle giornaliste tramite immagini photoshoppate.
Il report dell’Unesco fa emergere come queste aggressioni nascano principalmente da un contesto di misoginia, razzismo, omofobia, fanatismo religioso.
Come ha spiegato Guilherme Canela dell’Unesco ad Al Jazeera, alcune giornaliste hanno segnalato minacce perché coprivano storie di diritti delle donne, elezioni, conflitti, servizi legati allo sport (considerati di copertura maschile).
In gran parte dei casi, questi attacchi hanno l’obiettivo di dissuadere le giornaliste dal proseguire la loro attività di ricerca della verità. La violenza online mina il giornalismo d’inchiesta, la libertà di espressione, la critica e la fiducia che l’opinione pubblica ripone nella stampa.
L’AUTOCENSURA E LA RICHIESTA DI AIUTO PSICOLOGICO
Il 30% delle professioniste interpellate ha ammesso di essersi autocensurata sui social media a volte evitando di alimentare l’interazione con contatti e follower, altre volte cancellando i propri account. Alcune di loro sono state costrette addirittura a lasciare il giornalismo o sono emigrate. Non ricevono aiuto dai loro datori di lavoro e, spesso, subiscono una vittimizzazione secondaria.
Alcune giornaliste hanno sofferto di disturbo post-traumatico da stress. Un quarto delle intervistate dall’Unesco hanno riferito di aver cercato aiuto psicologico, soprattutto quando la violenza online è associata ad aggressioni, abusi e molestie offline, nella vita reale. Succede ad oltre la metà delle giornaliste arabe intervistate.
Gli attacchi online hanno impatti nella vita reale ed influenzano la salute mentale e la produttività delle vittime.
La giornalista maltese Daphne Caruana Galizia è stata minacciata online di morte (bruciata come strega) prima di essere uccisa con un’autobomba.
Soltanto l’11% delle giornaliste intervistate ha segnalato casi di violenza online alla Polizia e pochissime hanno presentato una denuncia alle Forze dell’Ordine. Soltanto l’8% ha intrapreso un’azione legale.
Le giornaliste bersagliate dalla violenza in rete sono, in particolare, donne nere, ebree, lesbiche, bisessuali. Tutte voci che non devono essere zittite da questa sorta di terrorismo di genere contro la libertà di stampa.
IL DIRITTO DELLE DONNE DI PARLARE E DELLA SOCIETÀ DI SAPERE
In gioco non c’è mai solo il diritto delle donne di parlare ma anche il diritto della società di sapere.
Lo studio Unesco rivela che questi attacchi sono inestricabilmente legati, oltre che alla violenza di genere, alla disinformazione, alla discriminazione ed alla politica populista. Hanno motivazioni politiche: spesso, gli istigatori della violenza in rete contro le giornaliste sono politici, funzionari governativi, reti di estrema destra e di cospirazione digitale.
Dallo studio Unesco risulta chiaro che Facebook è la piattaforma più utilizzata (77%) dagli autori di violenza in rete, è il social media più pericoloso in tal senso. Seguono Twitter, WhatsApp, YouTube, Instagram. E’ stato segnalato un fatto preoccupante: anche se nelle piattaforme social è previsto il rispetto degli standard internazionali sui diritti umani e politiche contro gli abusi online, quando le giornaliste hanno denunciato gli attacchi online, le piattaforme hanno fatto poco o nulla per far rispettare le regole e per tutelarle. Ignoravano o rifiutavano le loro richieste di cancellazione di contenuti o account offensivi.
VIOLENZA IN RETE CONTRO LE GIORNALISTE PER SILENZIARE LA RICERCA DELLA VERITÀ
La violenza online tende a sminuire, umiliare, far provare vergogna, paura, silenziare e screditare professionalmente queste donne. Lo riferiscono gli autori dello studio Unesco a seguito dell’analisi di oltre 2,5 milioni di post su Facebook e Twitter che hanno colpito, in particolare, due note giornaliste: Maria Ressa e Carole Cadwalladr.
Maria Ressa dirige il Rappler, giornale indipendente filippino. La giornalista investigativa è stata più volte in carcere, nel suo Paese. Ressa ha rischiato la sua vita ogni giorno cercando di fare luce su alcuni episodi che coinvolgevano personaggi dell’economia, del mondo politico e membri importanti del governo filippino.
Ha ricevuto il Premio Guillermo Cano per la Libertà d’informazione (riservato ai campioni della libertà di stampa) e, ad un certo punto della sua carriera, ha ricevuto fino a 90 messaggi di odio all’ora su Facebook di tipo sessista e razzista. E’ diventata bersaglio di feroci attacchi anonimi online.
La giornalista investigativa multipremiata Carole Cadwalladr scrive per l’Observer e il The Guardian. Secondo il rapporto Unesco, ha subito oltre 10mila casi di abusi solo su Twitter. metà dei quali di tipo sessista e misogino.
Si tratta di attacchi non solo personali ma dal doppio impatto. Colpiscono la libertà di espressione individuale ma anche quella collettiva che riguarda lettori ed ascoltatori, coinvolge gli utenti social.
Sono due anche gli obiettivi di chi prende in esame questo fenomeno: bisogna difendere sia le donne giornaliste in quanto donne, sia la libertà di stampa come diritto fondamentale.
Ressa e Cadwalladr non sono, di certo, le uniche ad aver subito minacce online. Sono migliaia le colleghe non altrettanto famose che cercano di fare un buon lavoro di cronaca e di critica della società e che finiscono nel mirino della violenza in rete.
L’8 marzo scorso, l’Unesco ha lanciato la campagna #JournalistsToo che celebra le professioniste del mondo dei media ed accende i riflettori sulle giornaliste vittime di online harassment.
1 Commento
Pingbacks -
[…] Nel primo semestre del 2021, sono stati minacciati 110 giornalisti (+11,1%) di cui 55 hanno ricevuto minacce online. […]
[…] Nel primo semestre del 2021, sono stati minacciati 110 giornalisti (+11,1%) di cui 55 hanno ricevuto minacce online. […]