
In questo articolo:
VIOLENZE IN CORSIA
AGGRESSIONI, STUPRI, PENE PIÙ SEVERE COL DDL GRILLO
Gli ospedali dovrebbero dare la priorità in codice rosso alle donne vittime di stupro e violenza e, paradossalmente, per dovere di cronaca, ci troviamo a dover pubblicare uno speciale dedicato alle violenze in corsia, quelle subite da donne medico. Le donne, sia chiaro, non sono le uniche vittime perché l’ambiente sanitario, negli ultimi tempi, è al centro di aggressioni d’ogni sorta ai danni di medici e infermieri e non riguarda soltanto stupri.
Non sono pochi gli infermieri che vengono presi a calci e pugni dai pazienti, i medici feriti anche gravemente per aver avvisato i parenti del decesso di un paziente, i dottori che si sono ritrovati con una gamba spezzata per essersi rifiutati di produrre un certificato falso. La violenza si scatena tra insulti, minacce, intimidazioni, stalking, sputi, pedate, morsi, schiaffi, bastonate, accoltellamenti (fino all’omicidio).
Concentriamo il nostro focus sugli stupri che il personale sanitario femminile subisce o rischia di subire, ben coscienti che il clima insostenibile negli ospedali è molto più esteso, grave e dilagante in tutta Italia.
Violenze in corsia: dati statistici disponibili a fronte di una realtà che peggiora
Non esistono dati precisi ed aggiornati sul fenomeno delle violenze in corsia e delle aggressioni verso gli operatori sanitari (dall’insulto all’omicidio) in grado di fornire un quadro coerente con la realtà. Senza contare che sono pochi gli operatori che denunciano. La cronaca quotidiana, però, parla più di qualsiasi statistica e registra una preoccupante escalation di episodi violenti negli ospedali o al Pronto Soccorso destinata a peggiorare.
Un’indagine, in particolare, che può dare un’idea della realtà, è quella condotta da Simeu riferita al periodo compreso tra l’1 marzo e il 30 aprile 2017 che ha coinvolto 218 strutture presenti sul territorio nazionale. Secondo l’indagine della Società italiana di medicina di emergenza urgenza, in un Pronto Soccorso su tre (63%) si è verificato almeno un episodio di violenza contro infermieri e medici. Simeu evidenzia che, nel 50% dei casi, le aggressioni si verificano lì dove il sovraffollamento risulta più insostenibile (ed il personale risulta insufficiente per coprire tutte le richieste). Nel 2018, la situazione è sicuramente peggiorata.
Chi salva i medici e, soprattutto, gli infermieri (i più aggrediti) da questa ondata di violenze? Questa è la domanda numero uno considerando la situazione generale in cui versa l’ambiente sanitario. Quella particolare è: chi tutela le donne in guardia medica e le infermiere dalle violenze sessuali?
Secondo i dati dell’Inail e del Ministero della Salute, sono 1.200 ogni anno le aggressioni ai danni del personale medico: 7 su 10 sono donne. La donna è considerata, da sempre e ovunque, un bersaglio più facile. Sono le stesse donne medico a rischio violenza che, dopo la vicenda di stupro a Varlungo, hanno pianto una volta di più guardando le ferite riportate dalle ragazze violentate ed hanno lanciato un doppio appello: maggiore tutela delle donne e pene più certe agli stupratori.
Dottoressa Serafina Strano violentata a Trecastagni: il caso più noto
E’ stata sequestrata e violentata per circa 3 ore il 19 settembre 2017 dal 27enne Alfio Cardillo mentre era in servizio alla Guardia medica a Trecastagni (Catania). In difesa della dottoressa 52enne Serafina Strano, la Procura aveva chiesto una condanna a 15 anni di reclusione per Cardillo con l’accusa di violenza sessuale, lesioni e sequestro di persona. E’ stato condannato a 8 anni, al risarcimento di 60 mila euro in favore della vittima e d 5 mila euro per l’associazione antiviolenza/antistalking Calypso. E’ stato, inoltre, interdetto in maniera perpetua dai pubblici uffici.
La dottoressa è stata lasciata sola, letteralmente abbandonata dall’Ordine dei medici di Catania che non si è costituito parte civile nel processo ed ha dimostrato assoluta indifferenza ignorando il suo caso. Sono spariti tutti, anche i colleghi, per paura di perdere il lavoro.
“Devono pagare anche coloro che non mi hanno garantito sicurezza. Mi hanno lasciato in balia di quell’uomo” ha dichiarato la dottoressa. Ha già presentato esposti e denunce. E’ stata stuprata, ha visto la morte in faccia, ha denunciato anziché nascondersi nell’anonimato come altre vittime di violenza.
I vertici dell’Asp “hanno dotato le nostre guardie mediche di misure di sicurezza ridicole”: la porta blindata avrebbe reso la guardia medica una trappola per lei, le telecamere a circuito chiuso non erano collegate alle forze dell’ordine.
Sanità: primato di donne violentate sul posto di lavoro, ci vuole più sicurezza
Il Ministero della Salute, con la raccomandazione n. 8 del 2007, afferma che “gli atti di violenza a danno degli operatori sanitari costituiscono eventi sentinella che richiedono la messa in atto di opportune iniziative di protezione e prevenzione”. Infermieri e medici devono denunciare aggressioni, violenze e lesioni subite, sempre e, invece, la stragrande maggioranza non lo fa: la cosa peggiore è che si sta verificando una sorta di ‘rassegnazione’, assuefazione a tutto questo.
Le donne medico violentate devono, oltretutto, subire anche lo stigma sociale per lo stupro subito, talvolta anche minacce di morte. Gli operatori sanitari vengono lasciati sempre più soli, con carichi di lavoro sempre più pesanti, in un momento in cui, al contrario, avrebbero bisogno di supporto non solo umano ma tecnologico come, ad esempio, l’installazione di allarmi (come il nostro allarme vocale Stop Stalking) in grado di segnalare in tempo reale situazioni di pericolo raggiungendo direttamente le forze dell’ordine.
La categoria medica vanta il triste primato di donne violentate sul posto di lavoro e perfino uccise.
Lo Smi ha proposto, in particolare, una legge che riconosca ai medici in servizio lo status di pubblico ufficiale, maggior sicurezza sui luoghi di lavoro ed una Commissione Parlamentare che analizzi il fenomeno e proponga soluzioni.
Approvato il Ddl Grillo: pene più severe per le aggressioni ai sanitari
A fine settembre, è stato approvato dal Consiglio dei Ministri il Ddl Grillo sulle aggressioni ai sanitari che inasprisce le pene per chi aggredisce e minaccia gli operatori nell’esercizio delle loro funzioni. Viene costituito anche un Osservatorio nazionale sulla sicurezza esteso a tutto il personale sanitario: avrà il compito di monitorare gli episodi di violenza commessi, formulare ed attuare misure di prevenzione e protezione. Come da tempo aveva dichiarato il ministro della Salute Giulia Grillo, le violenze in corsia non possono più essere tollerate.
L’articolo 2 del Ddl Grillo prevede un’integrazione dell’art. 61 del codice penale che disciplina le circostanze aggravanti per chi compie reati con violenza e minacce ai danni di operatori sanitari nel pieno svolgimento delle loro funzioni. Ci chiediamo se, oltre alle aggressioni che medici ed infermieri rischiano ogni giorno, si prevede un inasprimento delle pene anche in caso di violenza sessuale di una donna medico o di un’infermiera.
Il disegno di legge non fa alcun riferimento al ruolo di pubblico ufficiale proposto dallo Smi per l’operatore sanitario. E’ proprio sul ruolo di pubblico ufficiale, in realtà, che si gioca la partita delle responsabilità e di maggiori tutele.
Fra gli strumenti di prevenzione, non dovrebbero mancare strategie strutturali e tecnologiche opportune come la videosorveglianza o sistemi di allarme in caso di pericolo.
L’Aidm dice basta, il parere di Paolo Crepet
Intanto, la violenza contro donne e uomini medici continua a riempire le pagine dei giornali ed a crescere tanto che, di recente, l’Aidm (Associazione Italiana donne medico) ha detto basta. Chiede azioni immediate, tutela concreta con la possibilità che l’articolo 357 del codice penale venga modificato come ha proposto la dott. Rosalba Muratori l’11 luglio alla Camera dei Deputati.
Dal canto suo, la senatrice Rizzotti ha chiesto la reintroduzione delle postazioni di polizia nel Pronto soccorso degli ospedali, da tempo privi di adeguata sorveglianza.
Lo psichiatra, scrittore e sociologo Paolo Crepet, recentemente intervistato da opinione.it, ha commentato la situazione sanitaria e culturale del nostro Paese:
“C’è una violenza in giro che si respira nell’aria, troppa violenza nei confronti delle donne, una voglia di risolvere problemi personali attraverso la fisicità… Non si tratta di pazzi, altrimenti dovremmo considerare pazzi tutti quelli che fanno violenza sulle donne…”.
Uomini violenti, mentalità medioevali, cultura del possesso. Cultura italiana che, fino a ieri, sopportava il delitto riparatore, passionale. Cultura ancora fortemente maschilista di un Paese schizofrenico.
C’è stato un appello, prosegue Crepet: “Le carceri sono strapiene, non condannate più nessuno”.
Risposta di Crepet:
“Ma stiamo scherzando? Adesso mettiamo fuori i violentatori perché non c’è più spazio? Ma che Paese è? Compriamo 7 cacciabombardieri di meno e costruiamo 7 carceri di più. La donna medico che, di notte, faceva la guardia a Trecastagni non sarebbe stata violentata se ci fosse stata un’altra persona con lei. Ma la Asl direbbe che non ha il budget…”.
“E’ inutile che la Asl si costituisce parte civile se non riesce a prevenire il peggio garantendo sicurezza agli operatori” conclude Crepet e noi con lui.
Francesco Ciano